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Ci hanno resi feticisti e ossessionati

Un fan orientale dell'iPad, il tablet Apple appena sbarcato in Italia

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No, pare non ci si possano friggere le uova. Ed è inutile che proviate a farvi la barba poggiando le guance contro i suoi bordi. A guardar bene, non è neppure provvisto di ruote, al massimo ci viaggi con la fantasia. Se poi sullo schermo levigato spunta la foto di una miss di paradisiaca bellezza, lì rimane, intangibile e fredda. A che diavolo serve davvero l'iPad? Ce lo hanno spiegato mille volte ma - stringi stringi - il suo utilizzo è legato all'ascolto della musica, alla visione dei film e delle immagini, alla scrittura, alla lettura, alla navigazione su Internet. Fantastico: così non avremo più bisogno di andare al cinema a pomiciare in ultima fila, non ci sgranchiremo più le gambe per arrivare in edicola, non entreremo in libreria per godere di quel piacere dichiaratamente erotico di sfogliare un volume. Ce ne staremo nelle nostre case minimal, vuote con l'eco, senza più scaffali pieni di cose, via i cd, i dvd, i long-playing, le residuali videocassette, le enciclopedie cartacee. Seduti al centro della stanza, con la micidiale tavoletta in mano, onanisticamente persuasi di avere il mondo fra i polpastrelli, felici di crederci liberi, affrancati da tutto e tutti, ma irrimediabilmente nevrotizzati dall'Oggetto.   Come avevamo fatto a vivere senza? Com'era l'Italia prima del 28 maggio 2010? Eravamo già pieni di gadget "definitivi", e ci avevano convinti fossero indispensabili. Il netbook per collegarsi al Web dalla spiaggia, per dire. Fighissimo: ma quando si stacca davvero la spina, se pure sotto l'ombrellone siamo schiavizzati dall'angoscia della connessione? L'iPhone, fratello minore dell'iPad: straordinario, ma lì dentro ci ritrovi anche la voce dei seccatori che ti inseguono ovunque, come in un ordinario telefono. L'iPod: bella la collezione pop in un taschino, ma non era meglio quando potevi toccare le copertine dei dischi, leggere i testi delle canzoni, rischiare la riga della puntina sul vinile pur di partecipare a una magia anche tattile e non solo virtuale? E allora è chiaro: siamo intossicati da una droga tagliata in una falsa necessità psico-sociale. Curioso come l'evoluzione cibernetica, nata nella California della psichedelia e nel tempo della cultura post-hippy, abbia sognato "l'apertura delle menti" lucrando sull'ossessione per il materialismo. Ci hanno trasformati in adoratori dell'Oggetto, e non di questo appena sfornato, ma del prossimo, di quello che stanno progettando nei laboratori di Steve Jobs.   In fondo, poco ci interessano le sue funzioni, purché l'Oggetto si lasci avvicinare, lo si possa sfiorare, come certe reliquie sacre, noi tutti pellegrini a far la fila fuori dei negozi di culto, come l'Apple Store di New York, meta irrinunciabile per chiunque capiti a Manhattan. Dentro quella tavoletta deve celarsi un mistero, una verità, un pozzo di conoscenza. Come con i rotoli del Mar Morto, il Santo Graal, la Pietra Nera, l'Arca dell'Alleanza, vogliamo che l'iPad ci accolga e ci rassicuri con la sua prodigiosa Memoria, che tutto, o quasi, contiene. Siamo feticisti storditi, gioiosi e al tempo stesso disperati. Non possiamo più farne a meno, anche se non sappiamo bene di cosa. Anzi, prima che faccia notte corriamo a comprarlo.  

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