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Libri e retroscena, riecco i Fab Four

I Beatles a Milano in piazza Duomo nel 1965

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Certo, le schiere opposte dei fan sono meno agguerrite, anzi, nel rito dell'I remember sono pure disposte ad abbracciarsi. Ma è destino che Rolling Stones e Beatles si confrontino. Così, mentre Jagger spopola sulla Croisette, i quattro di Liverpool invadono la scena con due libri e molti retroscena. I più gustosi, che squarciano non solo vezzi e tic dei Fab Four ma soprattutto come funzionava in Italia lo show-biz negli anni del boom, li racconta Patrizia Wächter in «Papà Leo» in uscita per Bompiani. Leo, italianissimo nonostante il nome (ebreo), fu l'impresario che portò in Italia i Beatles, nel giugno 1965. Un colpaccio che non si ripetè più. Tre tappe - Milano, Genova e Roma - vissute come un sogno trasgressivo dai nostri teen agers ancora poco emancipati rispetto ai coetanei europei e guardate con sospetto dai perbenisti (un deputato democristiano, tanto per mettere i bastoni tra le ruote, fece un'interrogazone parlamentare per sapere se erano state pagate le tasse sui compensi degli «scarafaggi»). Patrizia, adolescente, seguì con papà Leo i cinque giorni tricolori dei Beatles. E ora marca le differenze tra i concerti di oggi e quelli di 45 anni fa. «Gli accordi spesso si basavano più sulla parola che sugli impegni scritti. E i contratti si articolavano in poche righe, altro che le complicate clausole odierne».   Poche pretese, anche di ingaggio (a un divo come Xavier Cugat si davano 200 mila lire a sera) poco seguito. Nella carovana, oltre a Ringo, Paul, John e George solo altre cinque persone: il produttore Brian Epstein, la segretaria Wendy Hanson (la sola tra loro che parlasse italiano), l'amico tuttofare con compiti amministrativi Neil Aspinall, Lacolm Evans e Alf Bicknell, nel doppio ruolo di responsabili degli strumenti e di guardie del corpo. I Beatles non erano ancora i mitici, ma interessavano gli intellettuali nostrani. Natalia Aspesi fece il viaggio con loro da Torino, dove arrivarono da Lione con un Trans Europe Express, a Milano (al Velodromo Vigorelli, il 24 giugno, la prima uscita). Durante il viaggio Paul fece un sermone sulla necessità di essere felici, John e Ringo non spiccicarono una parola, George si limitò al «Ciao». Al concerto meneghino - 40 minuti, prima cantò Peppino di Capri, la presentatrice era, come il cavolo a merenda, Rossella Como - andarono Giovanni Arpino e Valentina Cortese.   A Roma, Cinema Adriano (quattro concerti il 27 e il 28 giugno dopo che non si erano resi disponibili l'Olimpico, il Flaminio e il Palasport) c'erano, entusiasti, Mastroianni, Rascel, Sordi, Delia Scala, Giulietta Masina, Garinei e Giovannini. Ma quando Wächter annunciò la tournée a un dirigente Rai, quello impassibile: «E chi sono, i Beatles?». Così, neanche uno straccio di ripresa per il tour. E nessuno, in un mondo che andava a un'altra velocità e non conosceva gli agenti-stritolatutto, pensò a filmare. Spartano il resto. L'impresario, dandosi da dare come un matto, riuscì a trovare la sponsorizzazione della Coca Cola per il manifesto. Gli spostamenti del gruppo avvennero con due decapottabili e furgoni Alfa Romeo messi a disposizione solo perché il cognato di Leo era dirigente dell'azienda automobilistica.   A Roma, a causa della location più arrangiata, biglietti meno cari che a Milano (dove si pagarono dalle tremila alle mille lire). Nella Capitale i Fab Four dormirono al Parco dei Principi. L'unica richiesta di Paul, un bagno nella piscina dell'albergo, cosa che gli riuscì all'alba, dopo un giro in centro accompagnati da Gianni Minà e un gelato a Piazza Navona. Alla colazione in terrazza si sentivano i versi degli animati in gabbia nel vicino zoo. «Ecco i Beatles», rise Ringo.  

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