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L'impero del pissi pissi che ha cambiato la notizia

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Giovedìsale in cattedra alla «Sapienza». Tiene lezione di pettegolezzo. Meglio, dell'arte del pettegolezzo. Roberto D'Agostino, il lookologo, il re del pissi pissi, celebrato così. Davanti agli studenti della prima università capitolina. E a un passo da via dei Volsci, dov'è nato e cresciuto quando ancora non c'era movida ma stavano per arrivare le molotov. Un modo di celebrare i dieci anni di Dagospia, comparsa nel web il 22 maggio del 2000. Un modo un pizzico ingessato - oddio, perfino l'enfant terrible Roberto pontifica in ateneo? - ma che poi non può che diventare anticonformista, alternativo. Perché il decennale di Dagospia è la consacrazione del rovesciamento della notizia. L'apoteosi di un'altra informazione. Mai più paludata, anzi il contrario. E proprio per questo cliccata ossessivamente, 300 mila contatti al giorno. E compulsata come la Bibbia di questa Italia cafonal. Al punto di dettare l'agenda. E non solo delle feste, dei salotti, dei cin cin. Anche dei cda, dei vertici politici, dei summit per i palinstesti tv, degli organigrammi delle gazzette. Sicché il D'Agostino che mette alla gogna i potentoni è diventato lui il potentone. Perché ha eletto a sistema il gusto di usare il gossip per creare i fatti. Mica per scelta: è così che va avanti il mondo. Classe 1948, una moglie, un figlio e un adorato cane, tutti insieme appassionatamente nell'attico con vista Tevere e Cupolone, il Grande Fustigatore non se l'aspettava proprio che il «giocattolo» Dagospia diventasse uno scettro. Ama ripetere che il «fenomeno Dago» l'hanno creato i lettori. Che lui stesso è cambiato con il sito. Già, perché prima dello sbarco in Internet, teneva una rubrica di gossip sull'Espresso, ma era gossip che riguardava le starlette e i divetti dello spettacolo, tutt'al più i blasonati e i rampolli-bene. Invece dopo ha capito che erano i retroscena della finanza, dell'economia, en passant della politica, a interessare. Insomma, il pubblilo chiedeva che il giornalista di costume parlasse di Generali e di Mediobanca, di Telecom e di Rcs, di Rai e di Enel. E quando - infilandosi ogni sera in un multiplo di party e di salotti - il Nostro cominciò a riferire in rete di certi movimenti ignorati dalla stampa, allora fu un exploit di informatori, di telefonate di burattinai, di soffiate da fratelli occulti specializzati in imprenditoria, banche, trust. Era anche il mezzo che faceva il messaggio. La mobilità di Internet, la sua impalpabilità unita alla forza di penetrazione capillare. Barbara Palombelli, che aveva consigliato a D'Agostino di scrivere su un suo sito quello che non gli facevano raccontare sulla carta, aveva visto giusto. Dagospia ha anticipato il modo attuale di informarsi. Basta col rito del giornale sfogliato la mattina e del tiggì dei mezzibusti sorbito al vespro. Invece, il flusso dell'informazione continua, spaparanzata 24 ore su 24 sullo schermo del pc. Uno sfinimento per i giornali, perché a sera - o peggio, la mattina dopo - la notizia è decotta. E una sfida anche per i siti, alla rincorsa dello scoop a tutti i costi. Dagospia - sbirciata di continuo nelle redazioni - di scoop ne fa spesso. Alcuni di quelli storici? Nel 2004 la liberazione di Cupertino, Agliana e Stefio, ostaggi italiani in Iraq. Nel 2005 l'addio di Bonolis a «Serie A», il programma del Biscione. L'anno scorso le nomine Rai e il balletto dei direttori di Libero, Panorama e Il Giornale. L'altro asso è la scrittura. «Dagospia è per me un esercizio di stile», ha sempre confessato il suo inventore. Che racconta il pettegolezzo come una fiction, altro che notizia secca. Dunque: non tizio è andato a letto con caia, ché sarebbe solo volgarità da patinato scandalistico. Piuttosto, tutto intorno la storia della scappatella, del tradimento. Insomma, pettegolezzo sì. Ma tendendo allo stile alto, all'invenzione. Un pissi pissi alla Proust, per farla breve. O mutuato dalla fantasia gay, maestra per D'Agostino in queste cose. Ne discende il divertissement dei neologismi. «Attovagliati» ormai lo dicono tutti. Oppure i soprannomi. Littorio Feltri, Pierfurby Casini, Daniela Santedeché, Marpionne, Cossiga il Gattosardo, WalterEgo Veltroni. O le citazioni. Ieri su Dagospia Fini faceva una figura più mesta di Cristo: c'ha solo undici apostoli, «non riuscirebbe a organizzarsi nemmeno l'ultima cena».

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