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Il Viminale ha un tesoro. Eccolo

I bari del Caravaggio

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Non solo Caravaggio, Bernini, Michelangelo, Tiziano. Da ieri il ministro Maroni ha scoperto di possedere anche un Guido Reni. Sta in una delle 750 chiese di proprietà del Viminale. Oltre a una domus romana al Celio e a 23 mila ettari di bosco al Tarvisio. Altro che poliziotti, prefetti, mafiosi, serial killer. L'estroso ministro che suona il sax deve pensare anche agli ingrombranti beni avuti in eredità da preti e frati. Fa capo al Viminale il Fec, Fondo Edifici di Culto, istituito 25 anni fa, per accordo tra Stato e Santa Sede. Il motivo, mettere ordine al bottino di guerra dei Savoia, ovvero al travaso nello Stato dei possedimenti degli ordini religiosi disciolti da leggi di fine '800. Al ministero dell'Interno dunque l'onore e l'onere di tutelare il patrimonio. Compito analogo e parallelo a quello del Ministero per i Beni Culturali. Un impegno che costa al Viminale, per restauro e conservazione, sei milioni di euro l'anno. Ma vuoi mettere? Gli dà scrigni d'arte come Santa Croce a Firenze, Santa Maria del Popolo e la chiesa della Minerva a Roma, quella della Martorana a Palermo, San Gregorio Armeno a Napoli, e via elencando. Una vetrina di tanta abbondanza Maroni, con la regia dei prefetti Lucia Di Maro e Mario Morcone, l'ha allestita ieri a Palazzo Ruspoli di Roma, lo spazio espositivo in via del Corso della Fondazione Memmo. Sono esposti 29 dipinti. Da ventitrè chiese in tredici nostre città. Il tema l'ha suggerito Rossella Vodret, sovrintendente del Polo Museale Romano (ecco la liaisontra Bondi e Maroni, la collaborazione tra Interni e Beni Culturali): i caravaggeschi del Fec, i seguaci del pittore superstar che festeggia il quattrocentenario e che spopola con la mostra alle Scuderie del Quirinale. Proprio alla mostra-monstre Maroni e C. hanno fatto un regalo, a conferma dell'ottimo vicinato tra Viminale e Collegio Romano: alle Scuderie è arrivato da Napoli un Caravaggio doc, «La flagellazione di Cristo». E la rivelazione Guido Reni? Una storia romana, «città incredibile per le continue sorprese», dice Rossella Vodret. Ecco la vicenda: nella chiesa dei Cappuccini in via Veneto quattro tele raffigurano ciascuna un evangelista. «San Matteo» è attribuito per consuetudine a Lucio Massari, «solerte copista dei Carracci», sentenzia Vasari. A regalarle al convento nel 1642, in punto di morte, il collezionista Giacomo Domenichino. Nell'archivio del convento fu trovato nel 1991 l'atto di donazione. Vi si asserisce che il San Matteo è del Reni. Ma «staccato il quadro per restaurarlo - spiega Vodret - abbiamo trovato dietro una pergamena con la scritta: La testa è di Guido Reni». Soddisfatto dello scoop, Maroni nel salone del Viminale benedice la rassegna. «Sono un artista prima che ministro, non potevo mancare». Ma quando chiediamo quale opera del Fec ami di più, taglia corto: «Questo ufficio».

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