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Bucatini e scottadito le magnate di Aldo & C.

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S'andavasui prati, ch'erano già alla fine di Viale Aventino, con i tegami turgidi di testarelle d'abbacchio, mica i cosciotti, quelli costavano troppo. E le pile infagottate di pastasciutta. I fiaschi li portavano i maschi, con le pagnotte e le uova sode. Alla controra, tutti a pancia all'aria sotto le frasche. E i pischelli scatenati a tirarsi come pallette le testarelle avanzate. Gite così, da poveri ma belli, nella Roma ai tempi der puzzone. Poi, finita la guerra, ancora foriporta, ma nel paniere c'era qualcosa in più. Gigi Proietti oggi riunisce la famiglia del giardino di casa. «Facciamo una piccola caccia al tesoro, in cerca delle uova dipinte dalle mie figlie, come quand'erano piccole. Invece io da ragazzo andavo in campagna, zona fraschette, dove si scorticava l'osso di prosciutto. Mia madre portava le fettine panate e a parte, nella gamella, il sugo. Per bagnarle, sennò se rinsecchivano». «C'avevamo 'na terrazza a Trastevere, se mettevamo a magnà lì, eravamo otto figli - scava nei ricordi Lando Fiorini, che oggi rompe la dieta, chiude per tre giorni il suo Puff e va in campagna - Che cucinava mia madre? La parmigiana di melanzane, i carciofi alla giudia, E per primo, nun se discuteva, bucatini». Bucatini, un'ossessione. Aldo Fabrizi non conosceva altra pastasciutta. La declinava in due varianti: all'amatriciana o alla carbonara. Convocava cinque, sei amici «all'Amba Aradam», sbrigativamente la casa della Magnani. Si piazzava nella cucina di Anna, imperativo. Lei si stufava presto, andava a fumare. Lui accudiva all'abbacchietto a scottadito. E dopo, «pe pulisse la bocca dall'unto, n'insalatina», annunciava. Condita con un filo d'olio e tanto aceto da lasciare senza fiato. I dolci no, non erano il suo forte. Invece era generoso col vino. Glielo mandava da Frascati Renato Castellani, il regista, che aveva una casa da quelle parti. Fabrizi li serviva nei boccali, e il bianco scendeva nel gargarozzo ch'era una meraviglia. Gli altri giorni, quando non era festa, Fabrizi preparata la minestra. «Ce la portava tutte le sere a teatro - ricorda l'allievo Lando Fiorini - La chiamava nonna minestra fredda. E la decantava così: "'Na gioia antica che s'è fatta rara, 'na cosa tera tera, 'na scolara che non sapeva d'esse 'na maestra"». Uova sode e salame, cominciava così il pranzo di Pasqua del padano Ugo Tognazzi. A Torvaianica, a ridosso di Castel Porziano, tavolate nella sua villa. Aprile avviava la stagione, che culminava nella sfida a tennis. Il trofeo era lo Scolapasta d'oro. Omaggio agli spaghetti. Rossellini sdirazzava, a tavola faceva il francese. Pranzi raffinati, precursori della nuovelle cousine. Arrostini col tartufo, insalata russa. Quando il buen retiro divenne Santa Marinella, Renzo serviva solo pesce, cotto alla griglia. Ma il Venerdì Santo aveva un guizzo sul tradizionale. Mangiava il capitone. Tanta sofisticheria contro la pastasciutta gliela fece passare Nannarella. All'Hotel Cappuccini di Amalfi gli tirò in faccia un piatto di spaghetti al sugo. Renzo aveva nicchiato sull'ingaggio, nel set e nella vita, di Ingrid Bergman. Anna lo inchiodò: « A Re', guarda che so tutto, sei stato con quella svedese». E giù, addosso la scodella piena.

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