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Da via Veneto a Fregene amore e odii di Flaiano

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Ennio Flaiano

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Da Rosati di via Veneto era cliente fisso. Pipa sotto il baffo, mai brandy, solo acqua e caffè. Sornione, Ennio Flaiano, ma fulmineo nelle battute. Euforico invece, con Cardarelli e il pittore Bartoli il 25 luglio del '43, quando cadde Mussolini. La fantasia ricominciò a respirare, insieme con l'anticonformismo. Fu lui il primo a ridere di quelli «che salgono sul carro del vincitore». Roma libera è stata la città per eccellenza del pescarese Flaiano. L'acquario fertile di plancton nel quale far nuotare la sua coscienza critica. Non supponente e acida, ma facile da accettare, per l'umorismo che ai romani de Roma lo assimilava. E la capitale gli rende omaggio nel centenario della nascita. Domani pomeriggio ai Musei Capitolini lo ricorderanno Lina Wertmüller e Carlo Lizzani, Giosetta Fioroni e Raffaele La Capria. Alla Casa del Cinema poi, fino all'8 marzo, i film da lui sceneggiati, dalle pellicole cult di Fellini e Antonioni a «Tempo di uccidere» di Montaldo, tratto dal romanzo col quale Flaiano vinse lo Strega, nel 1947. È un ritorno alla città del dopoguerra, del boom, della Dolce Vita. Alla quale Flaiano partecipò di striscio, come quel «Marziano a Roma» che inventò nel '53. Nel racconto un disco volante approda a Villa Borghese guidato dal pilota-passeggero Kunt. Nel quale gli intellettuali vedono il portatore di una nuova era. Flaiano era un marziano perché da certi schemi si teneva fuori. Mai opportunista. Talvolta permaloso. Con Fellini si vedeva in automobile. Filavano in macchina fino a Ostia, con Pinelli e Brunello Rondi. Nel tragitto, sulla Colombo, Federico raccontava il bozzolo dei suoi film. Litigarono per un'inezia. Flaiano e la moglie Rosetta se la presero perché, di ritorno dagli States dove "Giulietta degli Spiriti" aveva avuto un Premio, Fellini e la Masina erano stati sistemati in prima classe e loro in economica. Non si parlarono quasi più. Solo, Flaiano inviò un biglietto di auguri a Fellini, ricoverato in clinica per accertamenti di routine. E Federico esclamò: «Allora sono moribondo». Altre scintille alla Mostra del cinema di Venezia, nel '71. Il direttore, Gian Luigi Rondi, era contestato. Al punto che quando annunciò il premio alla carriera a Chaplin, certi giornali ignorarono la notizia. Visconti si schierò con Rondi, Fellini invece, pavido, non si presentò alla serata di gala. «Vedrai quel coniglio, come te lo servo di barba e capelli», sbottò Flaiano. Il giorno dopo, il suo elzeviro sul «Corrierone». Con la schioppettata verbale a Federico, pronto a genuflettersi a Chaplin, ma non a Venezia. A Roma Flaiano scelse di vivere in un quartiere senza pretese, Montesacro. La sua casa, in via Montecristo. Dove una targa ricorda: «Qui visse dal 1955 fino alla morte, nel 1972». E poi le sue parole, dal «Diario degli errori»: «Con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole». Capitale odiamata. Il signore degli aforismi passava pomeriggi nello studio in via Santo Stefano del Cacco, al Teatro Arlecchino, che poi prese il suo nome. Ma nel '57 raccontò su «Il Mondo» la convulsa e disordinata nascita del quartiere Talenti, palazzi cresciuti a mangiare i prati. Il buen retiro alla fine divenne Fregene. A Maccarese Flaiano resta per sempre, dopo il secondo, fatale colpo al cuore che lo stroncò nel 1972.

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