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Autore, attore, capocomico, produttore.

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Contanta voglia di comunicare attraverso un mezzo come questo con il pubblico». Parli di "Girgenti amore mio". «Uno spettacolo che mi sta dando grandi soddisfazioni. Che mi ricorda la mia infanzia, il mio percorso umano e professionale, la mia famiglia. Sono al Quirino da oggi fino al 21 marzo». È uno spettacolo sincero? «Il tentativo appassionato e profondo per ricordare il passato, i costumi, le tradizioni, le radici che saranno per sempre mie. Ho cercato con «Girgenti amore mio» di esplorare parte della mia vita e di rendere libere le contraddizioni che da sempre mi legano alla mia meravigliosa isola, a tutto quello che la Sicilia mi ha regalato, a Girgenti». Si sente giovane, anziano, adolescente, di mezza età? «Non esiste una stagione, esiste la vita giorno dopo giorno. Sono nato ad Agrigento nel 1954, primo di cinque figli. Mio papà ottimo professore di lettere, mia mamma la casalinga più amata del mondo. Una famiglia numerosa ed unitissima». Il rapporto con i suoi genitori? «Meraviglioso. Genitori che da sempre si sono occupati in maniera speciale dei propri figli, e continuano a farlo. Quando posso mi riunisco con loro per programmare anche il mio futuro professionale». I ricordi da bambino? «Ero vivacissimo, parlavo e mi piaceva stare sempre in compagnia. Sin da quella tenera età ero già attore». Quando ha deciso di intraprendere questa professione? «Non c'è stato un momento particolare. Fondamentale la decisione di trasferirmi a Roma con la mia famiglia, dopo una serrata riunione di tutti noi. Sì, ricordo di un banchetto familiare per decidere il trasferimento. Avevo solo 12 anni». Roma come ha inciso nella sua vita professionale? «Tantissimo. Ci trasferimmo a Roma per poter essere noi figli presso una sede universitaria. I miei genitori volevano la laurea». Quindi... «Giurisprudenza. Papà mi avrebbe voluto notaio, magistrato o avvocato». Ed è stato deluso? «Forse all'inizio. Non proprio una delusione ma tanta preoccupazione. Poi sono stato messo in condizione di fare quello che volevo. Oggi sono molto contenti». La prima zona di Roma che ha frequentato? «Cinecittà. Era un sogno a portata di mano. Ho scelto poi di andare a vivere da solo». E scelse anche Proietti? «Lasciai gli studi universitari e mi iscrissi alla scuola del grande Gigi Proietti, il mio primo maestro. Lì è cambiata la mia vita. Una fortuna incredibile». Il suo esordio? «Con una grande del teatro italiano, Rossella Falk. "Applause" è stata l'occasione della mia vita. E poi tanti altri incontri». Quali? «Turi Ferro con un "Tito Andronico" di Shakespeare e Valeria Morriconi con "La veneziana"». Poi Gino Bramieri. «Garinei mi aveva visto in uno spettacolo "Bagna ed asciuga" a Viareggio prima e al Teatro dell'Orologio di Roma poi. Garinei mi vide e volle una mia esibizione al Sistina e poi in tutta Italia. Lo spettacolo era "C'è un uomo in mezzo al mare"». Da Garinei a Bramieri, il passo è stato facile? «Entrai con una certa stabilità nella scuderia di campioni di Garinei e Giovannini. Nacque la coppia con Bramieri». Un ricordo di Bramieri? «Un uomo eccezionale, un attore bravissimo. Mi sentivo un fratello minore, un figlio, un amico. Quanti insegnamenti». Si è sposato due volte... «Ma non per mia colpa o merito. Il primo matrimonio non è andato benissimo. Ho una concezione tradizionale della famiglia: avendo incontrato una donna che amo molto ho deciso di risposarmi». Sta parlando di Ombretta? «Una milanese coinvolgente, ha cambiato la mia vita». E i figli? «Non sono arrivati, peccato. Ma nella vita non si sa mai». È un collezionista? «La filatelia è una passione. Metto insieme la storia postale della mia Sicilia». Il suo carattere? «Vivace. A volte mi sento come l'Etna in eruzione». Conosce l'ansia? «Purtroppo o per fortuna. Può essere un motore o un rallentatore. Ci convivo abbastanza bene». È severo? «Sulla scena e nella vita, sì». È bugiardo? «La lealtà è uno dei valori insegnatimi dai miei genitori».

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