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A Palazzo Farnese l'Atelier degli sceneggiatori

Stefania Sandrelli in

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Fino al 5 marzo l'ambasciata di Francia mette a disposizione le sua sede per l'Atelier Farnese, primo laboratorio di scrittura cinematografica italo-francese che ha avuto il suo battesimo a Cannes, nel maggio scorso. Dopo sette giorni di intenso lavoro a Sabaudia, nell'ottobre scorso, l'Atelier, diretto dal regista Francesco Ranieri Martinotti, ha organizzato in questi giorni un'altra settimana di creatività, sotto l'egida della Regione Lazio, Cinecittà Luce, Centre National de la Cinématografie, Sviluppo Lazio e Roma Film Commission. Tre i gruppi di lavoro. Jean Pol Fargeau (autore di «Chocolat») e Marco Amenta (che ha scritto «La siciliana ribelle») sviluppano la sceneggiatura «The Good Company», progetto italiano ambientato nel delta del Niger; Giorgio Alorio e Marie-Agnés Viala lavorano all'adattamento del romanzo di Vincenzo Consolo «Lo Spasimo di Palermo», progetto francese di un produttore parigino; Daniela Ceselli (sceneggiatrice di «Vincere») elabora con Sandra Marti «Pardon», soggetto francese la cui storia è ambientata tra Ventimiglia e Menton. Coordinatore dell'iniziativa e Aldo Tassone, ora impegnato in un'autobiografia su Akira Kurosawa, il cui centenario della nascita cadrà il 23 marzo. Mentre promotore dell'iniziativa è il grande scceneggiatore Furio Scarpelli (1919) autore dei più grandi film della commedia all'italiana. Da «I soliti ignoti» e «La grande guerra» di Monicelli a «I mostri» di Dino Risi, da «Sedotta e abbandonata» di Germi a «C'eravamo tanto amati» di Scola e tanti altri capolavori. Scarpelli, che sta ora scrivendo un storia a fumetti, «Passioni», già pronta per diventare un cartoon, ha offerto consigli ai giovani sceneggiatori con la sua proverbiale ironia. «Sono importanti i film di denuncia. "Il Caimano" di Moretti ha una sua grazia perché non fa somigliare gli attori ai personaggi. Mentre "Il Divo" di Sorrentino esagera un po' in merito alla somiglianza da documento fotografico. La politica, come la poesia, la pittura e la filosofia, non si può togliere da un film. Il segreto della commedia all'italiana è questo: registi come Risi e Monicelli avevano sempre un intento politico, pur essendo di partiti diversi. Anche l'ironia nella commedia è capitale e riesce meglio ad acchiappare l'immagine della realtà. Ma spesso l'ironia viene scambiata per esagerazione ralistica, dimenticando che la realtà è più esagerata delle stupidaggini che scrivono gli sceneggiatori. Tra italiani e francesi lo scambio è fortissimo. Attori come Noirte e Blier si sono italianizzati, anche se è impossibile abbandonare del tutto la propria origine».

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