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Piccoli, indipendenti e col solito vizio di piangersi addosso

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Sitratta di oltre duecento aziende che, nonostante la recessione, i margini sempre più ridotti e il clima non certo favorevole, cercano in qualche modo di far sentir la propria voce. Non sempre ci riescono. Quest'anno a Sanremo non ci sono riusciti, in televisione sono pressochè emarginati. Ci riescono nei luoghi specializzati, a loro riservati, come per esempio al Mei, il salone della discografia indipendente che ogni anno si svolge a Faenza. Qual è il ruolo della piccola discografia in un momento in cui quella grande appare debolissima? In via teorica dovrebbe essere quello di offrire una voce più autentica, più libera, fuori da certi atteggiamenti del mercato tradizionale. In realtà sovente non è così. A differenza di quanto accadeva in passato, i cantanti e i musicisti che lavorano per le piccole etichette raramente lo fanno per convinzione o per posizionamento artistico ma semplicemente per mancanza di contratto. Anche cantanti famosi, ancora di buon nome, magari con milioni di dischi venduti alle spalle (vedi un grande come Mario Biondi) sono di fatto senza contratto e dunque quando incidono un disco lo fanno da "indipendenti". Per la maggior parte non è una scelta, è mancanza di lavoro. Negli anni la bandiera degli indipendenti è diventata una sorta di lavagna bianca dove si iscrivono automaticamente un un po' tutti: cantanti disoccupati, gruppi da denuncia sociale, ex star degli anni Sessanta, artisti folk, da strada, dilettanti, ecc. Una categoria che ha smarrito l'identità e che il Festival di Sanremo guarda con una certa diffidenza. In questi giorni l'Afi sta protestando per questa ennesima esclusione, ma prima di farlo, passando attraverso le inevitabili strade sindacali o delle altrettanto prevedibili rivendicazioni dei "lavoratori della musica", dovrebbe fare una sana e consapevole autocritica. Perché il settore dell'editoria - che certo non se la passa meglio di quello discografico - è stato in grado di allestire rassegne valide sul piano promozionale e su quello qualitativo? Basti pensare alla rassegna della piccola e media editoria che si svolge ogni anno a Roma. L'indipendenza discografica rischia di tramutarsi in un contenitore vuoto, privo di quei valori subalterni che hanno caratterizzato la sua storia. La responsabilità, per non dire la colpa, è tutta degli artisti, soprattutto giovani, che oggi più che mai, schiavi del conformismo, cercano il successo facile.

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