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C'è un filo sottile che lega i romanzi di Guillame Musso, monsiuer Bestsellers, come lo chiamano in Francia dove è nato 36 anni fa

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Lesue storie che fluttuano in un presente melanconico segnato dai ricordi, dalle nostalgie del passato, dalle ferite antiche che non rimarginano e trasbordano su piani parelleli che per magia s'intersecano e si fondano in happy end pieni di speranza. Nulla è dato al caso, c'è un disegno soprannaturale che regola le cose: la magia irrompe nella grigia realtà e accende gli animi di una luce nuova. Tutto questo si ritrova anche nell'ultima fatica di Musso «Perché l'amore qualche ha paura» (Ed. Sperling & Kupefer, pag.305). Tre personaggi, Gabrielle, Archibald e Martin e l'intreccio di tre esistenze spalmato in vent'anni tra una solare San Francisco e una piovosa Parigi. Al di là della trama (che non racconteremo qui) daremo un accenno al soprannaturale che, ancora una volta, irrompe come un deus ex machina ad aggiustare le cose. Questa volta non sono angeli travestiti da umani ma voci che si rincorrono in un limbo accecante di luce e pieno di aerei al decollo. Quelle voci sono di uomini e donne che giacciono in coma in letti d'ospedale tra la vita e la morte. Signor Musso, amore e magia: sono questi gli ingredienti della vita? «Il soprannaturale serve per affrontare la vita in un modo meno pesante, più ludico. È uno strumento leggero che aiuta a superare i momenti difficili, i lutti, la vecchiaia, il senso della vita che finisce. Senza l'elemento soprannaturale la vita sarebbe triste, noiosa, tetra. Se non avessimo la speranza di ritrovare un giorno le persone che non ci sono più non ci sarebbero più sorprese. Il mondo di oggi è dominato dalla razionalità, la finanza ecc. L'immaginazione, le storie d'amore e la letteratura ci consolo. Diceva Pessoa che la letteratura esiste perché una vita non ci basta. Concordo in pieno». E l'amore «Resta la preoccupazione fondamentale. Si soffre sempre per amore anche quando si pensa di non soffrire per niente. È come una droga. Soprattutto il primo amore, come quello che descrivo nel libro, può condizionare tutto il resto della vita». Come nascono le sue storie? «Le ho dentro. Sono le storie che mi piacerebbe leggere. Magari le ho pensate 10, 15 anni fa. Intanto s'è creato, in me, un processo di maturazione. Ci metto sei mesi, circa, a costituire lo scheletro di un romanzo. E un anno a scriverlo. Questo romanzo è ricco di spunti autobiografici». Lei è Martin e avrebbe voluto fare il poliziotto? «Di tutti i miei personaggi Martin è quello che mi assomiglia di più. Un doppione. E infatti appena finita l'università ho pensato di fare il poliziotto. Poi sono diventato scrittore».

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