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Quel Falstaff di Zeffirelli

Renato Bruson nei panni di Falstaff

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Dopo la pausa natalizia il cartellone lirico 2010 del Teatro dell'Opera di Roma riprende vita. Il primo titolo della stagione è (da sabato e sino alla fine del mese) quel decantato Falstaff che non solo segna il terzo incontro di Verdi con Shakespeare (dopo Macbeth e Otello) ma soprattutto il suo definitivo addio alle scene. Una partitura vergata in veneranda età che reca con sé tutto il disincanto di una visione bonaria del mondo. All'Opera l'estremo capolavoro verdiano giunge in un «nuovo» (ma pur meditato per decenni) allestimento di Franco Zeffirelli (che aveva chiuso la stagione 2009 con una trionfante Traviata) per la direzione di Asher Fisch. Nel ruolo del corpulento ed attempato innamorato si alterneranno quattro baritoni della miglior scuola: Renato Bruson, Juan Pons, Mastromarino e Ruggero Raimondi. Intorno al panciuto protagonista il tenore Carlos Alvares come Ford, Mario Bolognesi (Cajus), Myrtò Papatanasiu, che lascia i panni di Violetta per quelli di Alice, Laura Giordano (Nannetta), Elisabetta Fiorillo (Quickly) e Francesca Franci (Meg). «Sono uno che ha fatto il suo lavoro onestamente – confessa Zeffirelli nella affollata conferenza stampa – senza abiurare al suo credo artistico e morale per nessun compromesso. Questo è il mio nono allestimento di Falstaff. La prima volta fu nel 1956 a Tel Aviv sotto la direzione di Tullio Serafin, un vero maestro da cui ho imparato metà di quello che so. Ad esempio che se un cantante non è ben visibile in scena, non lo senti: bisogna essere visti, distinti, per essere sentiti. È semplice il mestiere di mettere in scena un'opera – continua il maestro – perché c'è la musica che dà tanto aiuto. Andare contro la musica, come fanno certi registi moderni, è suicida. Io mi sono cimentato con tre generi: cinema, lirica e prosa. Nel teatro drammatico sono stato un rivoluzionario ad esempio con testi come quelli di Tennessee William o Miller. Quando non c'è la musica ci si può sbizzarrire di più. Oggi Shakespeare si fa in tutti i modi e se avessi dovuto fare le Allegre comari di Windsor avrei avuto molta più libertà, ma non avrei goduto dell'aiuto della musica. La musica intrappola, non puoi evitarla, è una meravigliosa prigione. Chi pensa solo al teatro e non alla musica non rende omaggio alla tradizione italiana. Sono tormentato: mi fanno passare per conservatore, ma il pubblico non è mai lo stesso ed anche io cambio con gli anni. Non c'è opera che non sia cambiata nel tempo insieme a me. Ed anche questo Falstaff, nonostante gli anni ed i cambiamenti, rimane in fondo lo stesso, come la musica. Il segreto del mio successo è che ogni volta prendo per mano l'autore e cammino con lui, stabilendo con lui un rapporto privato, intimo».

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