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Emma torna e sfida chi dorme in platea

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Tiberade Matteis Il teatro di prosa resta la priorità assoluta della sua creatività per Emma Dante, la regista palermitana ormai considerata una protagonista della scena internazionale, reduce dall'inaugurazione della Scala di Milano con una Carmen sanguigna e ancestrale e pronta a offrire al pubblico romano, da stasera al 25 gennaio al Valle, un saggio del suo repertorio con «Le pulle. Operetta Amorale», dall'8 al 24, «Vita mia» dall'11 al 18 e «Acquasanta», anticipazione della sua futura trilogia in doppia replica il 25 gennaio. Una Sicilia atavica e grottesca trova spazio sul palcoscenico capitolino che ospitò la giovane artista ai suoi esordi nel 2001, confermandosi una cifra stilistica ed espressiva in grado di varcare i confini geografici per combattere l'alienazione globale dei nostri tempi. Cosa prova nel presentare una sintesi del suo lavoro scenico? «I tre diversi spettacoli rappresentano altrettante fasi della mia storia: "Vita mia" è il passato, il periodo del mio debutto, "Le pulle" è il presente, mentre lo studio "Acquasanta" appartiene alla trilogia degli occhiali, ancora in embrione, che riguarderà tre temi di emarginazione: la povertà, la malattia e la vecchiaia. Qui preannuncio la vicenda di un uomo, abbandonato dalla nave in cui lavorava da sempre, in quanto ritenuto ormai inutile, costretto ad attendere invano il ritorno della sua imbarcazione e a parlare con il mare in una sorta di delirio». Come archivia la sua esperienza alla Scala di Milano? «Ha toccato corde profonde sul piano umano e artistico; è stato un lavoro molto sentito da tutti coloro che hanno partecipato: un viaggio comune nella stessa direzione con una magica alchimia. Ho trovato ottimi compagni anche in un ambiente molto burocratico e fiscale con regolamenti precisi e severi. I fischi sono stati interpretati come colpi rivolti a tutti e non solo a me». È rimasta ferita dalle critiche? «Rimango male solo se vengo attaccata dalle persone a cui voglio bene. Non solo i più bigotti mi hanno contestato, ma è il bello del mio mestiere. I loggionisti sono fanatici che fanno file paurose per assicurarsi biglietti per un posto da cui non vedono lo spettacolo. Spesso rimangono in piedi con lo spartito in mano. Per me, però, sono comunque molto vivi rispetto agli spettatori borghesi che dormono e poi applaudono. L'Opera ha bisogno di essere rivitalizzata e soprattutto non può fare a meno del teatro che è la sua salvezza. L'intervista di Zeffirelli mi ha divertito e non mi sono offesa per niente». Essere una donna è stato uno svantaggio? «Probabilmente no, ma non è stato mai un vantaggio! In alcune occasioni ho fatto più fatica. Si crede sempre un po' meno nel lavoro delle donne: sono viste come isteriche più che come autoritarie. Per la Scala, ad esempio, mi sono dovuta preparare molto in modo da arrivare sicura. Ho voluto essere calma, misurata e lucida, riuscendo così a conquistare la fiducia di coloro che hanno collaborato al progetto». Il successo l'ha cambiata? «Sono identica: mi modifico solo grazie agli incontri o ai mutamenti del corpo nel tempo. Mi fa piacere questo successo di stima, anche e soprattutto perché non mancano la contestazioni e dibattiti». Nel futuro privilegerà la prosa, la lirica o altri generi? «Il teatro è la mia priorità, ma sto scrivendo con Giorgio Vasta, un film tratto dal mio romanzo "Via Castellana Bandiera", storia paradossale fra due automobili che restano una di fronte all'altra in una strada stretta a doppio senso: non volendo cedersi il passo creano un ingorgo che sfocerà in tragedia». Continua a preferire il tragico? «Anche il grottesco, ma soprattutto la riflessione profonda. Nello scavo del dolore si trova il disagio delle persone e l'impossibilità di esprimersi all'interno dei vincoli sociali».

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