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Achille Lauro, l'ultimo re di Napoli

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L'avvincente biografia che Carlo Maria Lomartire dedica ad Achille Lauro con 'O Comandante (Mondadori, 200 pagine, 18,50 euro) ci restituisce una delle figure più controverse del populismo italiano. Figlio di armatore, Achille Lauro nasce a Piano di Sorrento nel 1887. Achille Lauro è un lavoratore infaticabile, padre padrone (avrà tre figli), marito tradizionalista ma fedifrago (avrà molte amanti, e non si contano le leggende sul suo presunto priapismo). Nel 1933 Lauro decide, lui che ha sempre utilizzato la politica senza mai schierarsi apertamente, di avvicinarsi al regime fascista (tramite Galeazzo Ciano). Mussolini non lo stima, ma lo utilizza "cedendogli" parte della proprietà dei giornali napoletani, tra cui "il Roma", e cooptandolo nella Camera dei fasci e delle corporazioni (gli "cede" anche la squadra di calcio partenopea, dando inizio al matrimonio tra Achille Lauro e il calcio, e che sarà determinante in futuro per il plebiscito politico dell'armatore). All'indomani dell'armistizio, Achille Lauro paga a caro prezzo l'adesione al fascismo, tanto che gli americani lo arrestano in quanto big fascist, anche se la sua adesione era soltanto di tipo "affaristico". Dopo la prigionia, Achille Lauro è costretto a ricominciare tutto daccapo, e, nel clima fortemente favorevole alla monarchia a Napoli, aderisce prima al movimento di Guglielmo Giannini "L'uomo qualunque", e poi, dopo aver contribuito pesantemente alla sua distruzione, aderendo al Partito nazionale monarchico di Alfredo Covelli. La forza industriale di Lauro, unita al controllo dei giornali e del Napoli calcio, gli permette di aspirare alla carica di sindaco di Napoli. Apparentando il Pnm al Msi vince trionfalmente le elezioni comunali del 1952, non senza sperimentare inedite forme di controllo del consenso (regalare alimenti e soldi, promettere mari e monti, dare ai potenziali elettori metà mille lire o una sola scarpa, promettendo di dare l'altra metà a elezione avvenuta). È la nascita di un caudillo vesuviano. Quando però "don" Achille Lauro diventa sindaco di Napoli, a palazzo san Giacomo succede di tutto: in giunta entrano tutti i suoi fedelissimi, vengono date licenze edilizie senza criterio, migliaia di persone sono assunte senza la necessaria copertura finanziaria, ma, soprattutto, inizia la pratica delle "feste napoletane". Alle elezioni politiche del 1953 il Pnm ottiene il 6,8% dei consensi, e riesce a portare in parlamento 39 deputati. Lauro è ormai una figura nazionale. Ma il comune di Napoli è sull'orlo della bancarotta, e a nulla servono le richieste di Lauro di una "legge speciale" per Napoli, perché nel frattempo da Roma è arrivato l'ordine di "distruggere" Lauro. La misura è colma quando Lauro decide di pagare di tasca propria i netturbini in sciopero per gli stipendi arretrati. Lauro è costretto a dimettersi, e il "suo" comune viene commissariato. Nel frattempo gli affari di Lauro vanno a gonfie vele, la sua popolarità è forte; addirittura, nel 1956, quasi settantenne, s'innamora di una ragazza di diciotto anni, Eliana Merolla, in arte Kim Capri. Ma il declino è inesorabile. Per più di un decennio cercherà in tutti i modi di imporsi politicamente a Napoli e a livello nazionale, ma la stella dell'"ultimo re di Napoli" si spegne ogni giorno un po' di più. Nel 1979, all'età di novantadue anni, accetta l'offerta di Giorgio Almirante di candidarsi al parlamento, ma non viene eletto. Napoli non lo riconosce più come "re". Alla fine del 1982 Achille Lauro muore; e, qualche anno dopo, anche la sua flotta si dissolve tra indebitamenti e svendite. È la fine di Lauro, ma non del "laurismo", pratica politica che ha fatto proseliti in Campania e in Italia.  

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