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«Quei giovani romantici appassionati dell'aldilà»

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Dopo la trilogia de «Il Signore degli anelli» (3 miliardi di dollari e 17 Oscar) e il kolossal «King Kong» (500 milioni di dollari e 3 Oscar) il regista neozelandese Peter Jackson torna sul grande schermo con un thriller psicologico. «Amabili resti», tratto dall'omonimo romanzo di Alice Sebold, è la storia della dolce 14enne Susie Salmon (Saoirse Ronan, candidata all'Oscar per «Espiazione») che non ha nemmeno il tempo di dare il primo bacio al suo ragazzo perché viene brutalmente assassinata da un serial killer (Stanley Tucci). Da qui paradossalmente parte il film. Sì, perché la ragazzina non accetta la sua morte e vive in un limbo paradisiaco dal quale guida il padre (Mark Wahlberg) a scovare il suo assassino. Mentre sua madre (Rachel Weisz) fugge di casa e la nonna (Susan Sarandon) spia il serial killer in una scena cult dalle atmosfere hitchcockiane. Jackson, il film è rivolto agli adolescenti di oggi, particolarmente attratti da storie oniriche e paranormali? «Affronto un tema difficile, sospeso tra storia terrena e misteri inviolabili. Mi interessava far vedere cosa potrebbe succedere dopo la morte: credo che l'energia racchiusa in una persona non possa mai essere davvero distrutta. E, visto che i ragazzi sono molto attratti da storie neo-gotiche e dal tema dell'aldilà, questo film può diventare motivo di dialogo con i loro genitori. Dal racconto traspare un messaggio positivo, la protagonista non muore mai e sopravvive in un'altra forma». Nella sua storia l'assassino non diventa mai un'icona pop o uno bello e maledetto: è una sua scelta precisa? «Sì. Il serial killer è una persona grigia, patetica, defilata e anonima che passa il suo tempo a costruire case di bambole in un quartiere della middle class americana, in Pennsylvania. Nessuno sospetta di lui. Non è però solo il racconto di un omicidio o di una vendetta, ma è anche una storia d'amore, consumata attraverso il dolore e il cammino che deve compiere la famiglia di Susie per ritrovare la pace e continuare a vivere. E su tutto emerge il legame più importante del film, quello tra padre e figlia». Lei riesce a rendere convincenti delle storie assolutamente fantastiche, qual è il suo segreto? «Evito ogni accenno satirico o ironico e seguo una sacralità rigorosa. Rispetto il mio patto con il pubblico che paga per vedere qualcosa di bello e io offro puro intrattenimento, un viaggio di due ore dove la gente crede ciecamente a ciò che vede. La penso proprio come Hitchcock: per me "i film non sono pezzi di vita ma pezzi di torta", puro intrattenimento».

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