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La coscienza di Sciascia

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Può uno scrittore essere al contempo barocco e scarno? Una cifra singolare, non soltanto stilistica, di Leonardo Sciascia è proprio questa: una, tutta siciliana, capacità di "suonare" le disparate "corde" dell'animo umano. Nella scrittura come nelle "cose" di Sciascia c'è tutta la tensione di una terra filosofica per eccellenza, spazio fisico e metafisico delle domande fondanti sull'uomo e sulla realtà, con le infinite escursioni che questi interrogativi pongono nella gamma dei sentimenti, dalla disperazione alla pietas, dal funebre al misericordioso, dal dramma alla solarità, dall'amore alla morte. Ma, soprattutto, c'è l'estremo ragionare di Pirandello, fino alla consunzione della ragione stessa. Ed ecco l'origine del dubbio, unica salvezza contro ogni tentazione ideologica. La trasposizione filmica di questo percorso non era certo semplice. Nella sequenza di opere cinematografiche tratte dai suoi scritti respira quasi sempre un impianto ideologico che spesso ne svilisce (impoverisce) la profondità speculativa. Tuttavia la messa in scena di Francesco Rosi in "Cadaveri eccellenti" aderisce a questa apparente contraddizione attraverso la compresenza di un armamentario funereo e di una sottrazione scarnificata. Il film è la discesa all'inferno dell'investigatore Rogas-Maigret che con i bisturi della ragione e del dubbio penetra negli anfratti del potere. Vertiginoso è il dialogo tra Rogas e il Presidente della Corte d'Appello: "L'errore giudiziario non esiste...Quando, il giudice celebra la Legge è esattamente come il prete che dice la messa..il giudice può dubitare, interrogare, interrogare se stesso, tormentarsi anche, ma nel momento in cui pronuncia la sentenza allora non più, in quel momento la giustizia si è compiuta." Rogas chiede: "Sempre?...Certo è sempre una questione di fede". E il Presidente: "Non sono cattolico e naturalmente non sono neanche cristiano, comunque non ho mai avuto di queste debolezze, non ho mai creduto a Voltaire, al suo trattato sulla tolleranza, lui ha cominciato con la storia dell'errore giudiziario, la virtù, la pietà, l'innocente caduto nelle mani dell'errore, quale errore? Il giudice che con una sentenza può uccidere impunemente? Bah! E' così che siamo arrivati a Bertrand Russell, a Sartre, Marcuse, e a tutti i deliri di questi giovani di oggi." Tenendo conto che lo stesso Presidente finirà ucciso in una trama eversiva queste battute condensano tratti del corto circuito della modernità. Poi Elio Petri porta sullo schermo "Todo modo", un altro viaggio agli inferi nel girone grottesco del potere. Qui lo stile di Petri compone un quadro sospeso tra allucinazione e surrealismo. Gli esercizi spirituali della classe dirigente democristiana sfociano nella claustrofobia, nel delitto. "Todo modo" è un'indagine sulle dinamiche beffarde a cui giunge la politica del ricatto e del sospetto. E il nichilismo del direttore spirituale, uno stellare Marcello Mastroianni, si tinge di demoniaco, in attesa della caduta e dell'apocalisse. Il cammino di Sciascia è sempre su questo limite-abisso a cui giunge la ragione e sulla vertigine del pensiero portato alle estreme conseguenze, ma sempre alimentati da una instancabile ricerca, di verità e di giustizia. C'è una inquietudine in Sciascia, ma c'è anche una purezza, non perfetta, poichè perfetto è solo l'artificio o la tentazione gnostica. E questa purezza "lontana", quasi una leopardiana "nostalgia del canto", travalica il tempo, accompagnata dalla misura che guida la scrittura di "cose" (...).

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