Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Mogol: "Battisti oggi? Non potrebbe emergere"

Esplora:
Mogol

  • a
  • a
  • a

«Oggi Battisti non troverebbe spazi per emergere». Addirittura, Mogol? «Nessuno si rende davvero conto di come sia ridotto ai minimi termini il settore della musica popolare. E sottolineo popolare, non pop. Certe canzoni sono patrimonio della nostra cultura, mica paccottiglia da mercatino discount».  Quelle che avete scritto voi due sono la memoria sentimentale di due o tre generazioni. «Questo è il punto. Se all'artista di genio non offri la possibilità di affinare la sensibilità del pubblico per un tempo lungo, se tutto si riduce a una rapida e cinica lotteria televisiva fra dilettanti da illudere e poi bruciare, allora è inevitabile che questa memoria condivisa non trovi più terreno per mettere radici». Lei ci prova, a non far disperdere questo tesoro di emozioni. Ha appena contribuito al doppio cd "I capolavori di Battisti-Mogol", prima uscita in edizione speciale degli album realizzati in coppia. Riscopriamo tante cose in quei testi. Com'era la storia di Titti? «Era la ragazzina con le "trecce bionde e gli occhi azzurri" della "Canzone del sole". Me ne ero innamorato a cinque anni, lei ne aveva sette, eravamo in vacanza con le famiglie a Silvi Marina, dove il "mare nero" diventa anche un proto-messaggio ecologico. La parte dell'infatuazione è autobiografica, quella della "cantina buia" ovviamente inventata. Ho telefonato a Titti due o tre anni fa. Eravamo cresciuti, ormai». Quante volte ha vinto Sanremo con i suoi testi? «Non ricordo. Quattro o cinque. Con "Aldilà" di Luciano Tajoli, "Se stiamo insieme" per Cocciante, "Uno per tutte" cantata da Tony Renis...mentre "Una lacrima sul viso" fu un grande successo, ma non trionfò al Festival». Neppure Battisti arrivò primo, ma con "Un'avventura" travolse l'Ariston. «Era il 1969, in coppia con l'immenso Wilson Pickett. Lucio era una forza della natura, ma era un tempo in cui si poteva lavorare su un cantante così: i deejay non erano vincolati a programmazioni rigide, le case discografiche investivano mezzi e uomini in progetti duraturi». Che pensa delle canzoni in dialetto al Festival? Tra l'altro, ieri il Comune di Sanremo ha bocciato la pensata della Lega. Non è chiaro cosa accadrà ora. «Però può essere una mossa intelligente: il mondo globalizzato si sta piallando, ovunque vai trovi gli stessi marchi, le multinazionali, i cibi plastificati. Difendere le nostre particolarità significa valorizzarle. Fior di poeti scrivevano in dialetto: Porta, Trilussa, Belli. Quanto alla Lega, non credo che il regolamento si limiti agli idiomi dell'Italia settentrionale». E il via libera agli autori stranieri? «Non serve il passaporto per scrivere una bella canzone italiana. Insisto, il cuore del problema è far uscire la nostra cultura musicale da un vicolo cieco dove non esiste meritocrazia e dove certi programmi tv, sostenuti dalla pubblicità, uccidono il lavoro dei professionisti della discografia». Ce l'ha ancora con i talent show? «Lì ci trovi docenti di pessimo livello. Non metterò i miei allievi, quelli del Centro Europeo di Toscolano, in fila per "X Factor". Non esiste proprio».  Però lei ci andò, l'anno scorso.  «Era l'unico modo per far parlare del cd degli Audio2. Avevo scritto i testi, e aveva conquistato il disco d'oro. Ma dei personaggi usciti da quelle trasmissioni chi resterà, nel lungo periodo? La situazione è di generale squallore. Guardi invece chi ha sbancato lo scorso Sanremo. Arisa veniva dalla mia scuola, lì era nata "Sincerità". Eppure anche lei era passata dalla porta di servizio di SanremoLab, per poter trionfare all'Ariston». Qualche raccomandazione gioverebbe? «Ai miei giovani insegno l'indipendenza intellettuale. Dico loro: ascoltate e giudicate, ma non lasciatevi risucchiare dalle logiche dei partiti. La responsabilità del dramma che sta annientando la cultura popolare italiana è proprio di quella politica che se ne guarda bene dal varare una legge a tutela della musica. Destra o sinistra pari sono: Veltroni aveva fatto delle promesse, ma non se n'è cavato nulla. Si giustificano con la carenza di fondi, si trincerano dietro l'abbattimento dell'Iva e non si accorgono che stanno uccidendo la sensibilità di un Paese. Io ho la fortuna di poter ricordare "Pensieri e Parole" o "I giardini di marzo". Nulla, delle canzoncine di oggi, resterà nell'anima di chi oggi è giovane, e fra trent'anni avrà rughe e nostalgie. E lo dico da conservatore, mica da rivoluzionario».

Dai blog