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«I sogni son desideri...» cantava la disneyana Cinderella mentre Kierkegaard filosofeggiava che «sognare è suprema genialità» e il seducente Jim Morrison ricordava che «solo chi sogna impara a volare»

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Nell'epocadel downshifting (scalare marcia, rallentare il ritmo), è Simone Perotti a ribadire, non marzullianamente, che i sogni aiutano a vivere anzi, a cambiare vita e bisogna sognare finché il desiderio non diventi realtà. E lui, autore di «Adesso basta» (Chiarelettere), lo sa con certezza avendo abbandonato, dopo quasi vent'anni, la carriera di manager di grandi aziende per trasferirsi, tra La Spezia e le Cinque Terre, e dedicarsi a scrittura e navigazione. Perotti, cambiar vita non è ormai un luogo comune? «Lo straordinario è che ci siamo distratti e non ci siamo accorti che è passata un'epoca. Fino a ieri cercavamo di somigliare a quelli che lavorano 20 ore al giorno, con la Porsche Cayenne e tutto il resto... Oggi è cambiato tutto: chi lavora tanto è out e lo vedo da chi scrive sul mio blog: il mito è smettere di lavorare. La sua domanda è legittima e evidenzia qualcosa di paradossale: è vero l'idea del baretto sulla spiaggia o del ricamo al posto dell'impiego sta diventando un luogo comune del non fare, tutti dicono ma nessuno fa». Va bene, preparo marmellate ma il mutuo chi lo paga? «Bisogna organizzarsi. Noi siamo un Paese con la cultura del lamento, siamo figli della provvidenza, da Manzoni al Papa, e della malora, dal paganesimo a Verga, noi guardiamo in alto o in basso ma mai ad altezza uomo, quindi non vediamo le esigenze dell'uomo. Siamo forti nella lamentela e nella speranza, ma poco sull'azione, perché gli italiani sono poco decisionisti, poco responsabili e molto superstiziosi». Quindi il mutuo? «Le scelte si possono fare nel tempo e il pagamento del mutuo richiede organizzazione. Io ci ho messo 11 anni, ho fatto un progetto, ho tolto il mio sogno dallo spazio dell'utopia e l'ho messo nella realtà giorno per giorno, accettando compromessi, certo, facendo risparmi...». Il segreto è tutto lì? «Sì, perché un conto è sognare senza collegamento, un conto avere rispetto dei propri sogni, renderli dignitosi e tentare di realizzarli. Solo così si riesce a dare un senso alla propria vita». È più facile fare queste scelte da soli? «Direi che la condizione migliore è quando si è in coppia, perché c'è un'economia di scala perfetta, spesso i due si fomentano a vicenda, si spalleggiano, non hanno paura di confessarsi la voglia di ricominciare...C'è chi lo ha fatto anche con i figli, magari lavorando «sfalzati», sei mesi ognuno...Il single sta in mezzo, decide da solo ma deve organizzarsi...» Si hanno sogni meno romantici della sua barca a vela? «Ma certo...io ho sempre sognato di scrivere e l'ho sempre fatto, anche nei ritagli di tempo, ma c'è gente che ricomincia anche per sogni più a buon mercato o più redditizi». L'importante che sia il nostro sogno... «Deve essere il nostro sogno, ma autentico non campato per aria e senza abdicare al ragionamento. L'alienazione di questa epoca è che tutti fanno cose o acquistano cose per impressionare persone che non ci amano...». Insomma i soldi non sono il problema? «Il vero nodo è il percorso psicologico che sta prima della decisione. Io ho amici che lavorano 20 ore al giorno ma è proprio quello che vogliono fare, non hanno nessuna voglia di fare downshifting. Il problema è di chi è stanco ma non fa nulla, si lamenta ma non attiva il suo sogno. Invece lei.... «No, io ho detto Adesso basta, cambio vita e ho lasciato chi continua a lamentarsi».

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