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Festival sinistri

Luca Barbareschi a Venezia ironico: saluta con il pugno chiuso

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Chissà per quale motivo ricorderemo Venezia 66. Forse - finora film-miracolo non se ne sono visti - per la mutazione della Mostra del Cinema in palco da comizio. Ci salgono però solo i Pepponi, i reduci delle Feste dell'Unità, l'ingellighenzia de sinistra alla Masell, che ancora occupa gli spazi (e i finanziamenti) culturali ma è alla disperata ricera di identità. E poi i duri e puri che leggono l'Unità (ma ora anche Avvenire). Nonché le truppe arruolate dall'estero, gli Stone, gli Chavez, gli Erik Gandini. E nostalgici del bel tempo che fu, quel '68 che un danno che è uno non lo ha fatto, secondo i Capanna e i Placido, e anche secondo uno che il '68 (e gli anni di piombo e le Br) non l'ha vissuto in età della ragione, il «fico» Scamarcio. Ne consegue una trasformazione della fenomenologia del Lido, per dirla alla Eco. Più pugni chiusi (quello convinto di Placido e quello ironico di Barbareschi) che divi in gondola. Una roba che non si vedeva più dagli anni Settanta, quando la Mostra fu messa in croce da Citto e C. e guai a parlare di borghesissimi Leoni d'oro. Capita allora perfino la smandolinata a Curcio. Evocato dall'ex celerino Placido, che di lui, dopo la proiezione del suo «Il grande sogno», dice: Renato non ha fatto male a nessuno, è l'unico che si è bruciata la vita ma è rimasto coerente. Poi arriva Veltroni e dà ragione a Michele contro chi lo accusa di farsi produrre i film da Berlusconi: «Il fatto che il Presidente del Consiglio sia proprietario di molte case editrici, di molti giornali, di case di produzioni cinematografiche in qualsiasi paese liberale non sarebbe possibile». Già, ma non dice che Mondadori e Medusa danno lavoro ai nemici del Cav, rispondendo alla quintessenza del liberalismo: il mercato detta le regole. E dimenticando, lui che si gloria di avere Rizzoli come editore, il D'Alema pubblicato da Mondadori. C'è anche un'altra mutazione: il peregrinare dell'antiberlusconismo da un festival all'altro. È come la germinazione del «dagli al Cav» nelle kermesse tenute su con pubblici finanziamenti. Così Louis Sepùlveda, il cileno che ha messo radici da noi, ha inaugurato il Festival della Letteratura di Mantova offendendo gli italiani con un «non sono cittadini, sono solo telespettatori. Devono ritrovare il coraggio civile di dire no». Mentre alla Festa del Pd Franceschini si è precipitato a proiettare i trailer di «Videocrazy», il docu-film di Gandini che mette alla gogna il modello di tv lanciato dal Berlusca. E «Videocrazy» è passato a Venezia 66. Meno male che c'è Noemi. Ieri è sbarcata al Lido. Per par condicio.

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