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Micha van Hoecke con ironia per spiegare il senso della vita

Micha van Hoecke

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Penultimo round a Villa Pamphili per «Invito alla danza». Di scena stasera un beniamino del pubblico italiano, quel Micha van Hoecke, belga di origini russe, già marito di Maguy Marin, collaboratore di Béjart, da anni stabilitosi in Italia al timone di una dinamica compagnia, l'Ensemble. Il filo conduttore di «Au Cafè», il lavoro che stasera verrà presentato al pubblico romano, sembra nascere da un particolare feeling tra il coreografo e la musica, in questo caso le più accattivanti melodie dei mitici Anni Sessanta, alla ricerca di quei Caffè belgi, tradizionali luoghi di incontro, dove si alternava la musica al dialogo.  «La musica – racconta Van Hoecke – agisce su di me facendo riaffiorare immagini, ricordi, situazioni. Così grazie a quelle musiche prendono vita eventi della mia storia, piccoli pezzi di vita vissuta». Come in Le Voyage o ne La dernière danse, lo spettacolo si pone come un' allegoria della vita reale, in cui persone comuni, artisti, clochards si incontrano, interagiscono. I Caffè del titolo sono quindi luoghi dove scorre la vita, ma anche scorrono i sogni, le aspirazioni, i ricordi, le speranze di tutti i giorni. Un'occasione per interrogarsi sulla vita e i suoi problemi, comuni agli esseri umani. Eccezionalmente in scena a Roma sarà anche lo stesso demiurgo belga, artista eclettico, capace come pochi di ironia e leggerezza. «Lo spettacolo è importante per me – svela ancora Micha - perché ricorda gli anni in cui ero con Béjart a Bruxelles. Racconta un po' della mia vita quando con gli amici si andava ai Caffè. Tra le musiche c'è la Quinta di Beethoven che consideravamo un fiammingo di origine, ma anche perché è la Sinfonia del destino. Poi ci sono le canzoni di quella generazione - Adamo, Johnny Hollyday, i Beatles - che uscivano dai jukebox. Ricordo con un po' di nostalgia quei tempi, perché c'era la speranza, poi non realizzata, in un mondo migliore. La mia nostalgia è per figure che non ci sono più come Béjart, Fellini, Antonioni o Mastroianni. Oggi la speranza è un punto di partenza, perché la cultura deve tornare ad avere un ruolo primario».

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