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Carosi in una Tosca metafisica su un Tevere rosso sangue

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Illuogo e il target del pubblico sembrerebbero indurre alla prudenza. La Tosca appare in un allestimento di Ripa di Meana coraggioso. Aboliti quasi tutti i riferimenti di rito, l'azione dei due amanti è adagiata su una mappa di Roma solcata come una ferita da un Tevere color rosso sangue e dominata da una croce ferrea che si accende di lingue di fuoco. Una vicenda sinistra, segnata da frotte di preti neri e da una devozione bacchettona. Accettata la forzatura anticlericale (Scarpia diventa un alto prelato) lo spettacolo si mostra coerente: una Madonna suggerisce la chiesa, un tavolo-passerella lo studio di Scarpia, una botola gli spalti di Castello. E i due amanti muoiono annegando nel fiume-ferita. La mancanza di dettagli (Scarpia è ucciso come in un atto di esorcismo) è sopperita con un ardito dosaggio delle luci. Poco sensuale ma convincente la Tosca della Carosi, un po' troppo spavaldo il Cavaradossi di Armiliato, ondivago lo Scarpia di Surian. Navigata la direzione di Paolo Olmi.

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