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Politica e televisione «La guerra dei trent'anni»

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Neglianni si è guadagnato la fama di «grillo parlante». Cioè di colui che, da sinistra, critica e pungola la propria parte. Senza indulgenze. E infatti Franco Debenedetti, un passato da senatore dell'Ulivo e un presente da editorialista e commentatore di fatti politici ed economici non fa sconti a nessuno. Neanche nel suo ultimo libro «La guerra dei trent'anni - Politica e televisione in Italia 1975-2008», che contiene oltre al suo, un saggio di Antonio Pilati (Einaudi editore, pagg 303, euro 19). Senatore, va bene la guerra della televisione, ma addirittura una guerra dei trent'anni. Non le pare di esagerare? «Il mio saggio si intitola "Storia politica della televisione". Il problema base di chi affronta un tema storico è: perché le cose sono andate così, e non in un altro modo? Nel nostro caso: perché abbiamo Berlusconi?» E la risposta? «Berlusconi è il padrone della televisione commerciale italiana. In tre mesi ha organizzato un partito, ha vinto. Negli ultimi 15 anni ha vinto tre elezioni su cinque. Un fatto unico sulla scena politica europea. Un'anomalia? Certo. Ma l'Italia è piena di anomalie». Ad esempio? «Siamo il Paese che ha avuto il più grande partito comunista occidentale. Una forte influenza della Chiesa. Un sistema iperparlamentare dove la governabilità è sempre un problema. Governi deboli che hanno lasciato formarsi un enorme debito pubblico. Fino al collasso di Mani Pulite». Scusi ma cosa c'entra Berlusconi con tutto questo? «Ho appena incominciato con l'elenco: se si parla di anomalie, bisogna ricordarle tutte. E non credo che si sanerebbero mandando Rete4 sul satellite». Ma, dicono a sinistra, adesso Berlusconi controlla tutto, anche la Rai. «Proprio per evitarlo, mi battei perché l'Ulivo al governo privatizzasse la Rai. Mi dicevano che tanto non c'era nessuno che se la sarebbe comprata. Ma se è così, domando io, il fatto che Berlusconi sia padrone della tv privata è un'anomalia del sistema televisivo o del capitalismo italiano?» Il Cavaliere è frutto o causa dell'anomalia italiana? «Solo i più rozzi sostengono che Berlusconi possedendo televisioni, può fare più pubblicità e ottenere più consensi: cioè che così altera il gioco democratico. Se la sinistra ha perso è per l'incapacità di dare risposte alla richiesta di modernità del Paese. C'è una parallelo tra questo essere fuori fase con il Paese e l'altezzosità e la supponenza con cui le classi dirigenti hanno guardato alla televisione commerciale. La quale invece ha interpretato i desideri, sia degli ascoltatori che volevano cose diverse dalla televisione di Stato, sia degli imprenditori che volevano crescere con la pubblicità». Scusi ma non le sembra un libro troppo indulgente nei confronti del premier? «Non è indulgente verso Berlusconi, è severo verso la sinistra che non ha saputo capire e ha contribuito al successo del Cavaliere. Soprattutto verso quanti, tra i comunisti ma soprattutto fuori, ostacolarono l'evoluzione dell'ordine politico in Italia in senso simile a quello del resto d'Europa. E così si arriva al 1994». La discesa in campo di Berlusconi. «Io ero candidato con i progressisti. Berlusconi voleva fare il partito liberale di massa. Non era ciò di cui l'Italia aveva bisogno? Certo poi non l'ha fatto e questo è il motivo per cui non sono berlusconiano. Per la prima volta si parlò di taglio delle tasse. Non l'ha fatto, ma non è peggio dire che pagare le tasse è bellissimo? E le pensioni? Se Berlusconi non avesse fatto la proposta su cui poi è caduto, non ci sarebbe stata la riforma Dini». Come vede il futuro dell'Italia? «Il mio capitolo finisce, anche per esigenze editoriali, con il discorso di Veltroni al Lingotto. Da allora ne sono successe di cose e oggi, quello che io vedo, è da un lato un Pd avviluppato nelle crisi interne alle ricerca di un'identità. Dall'altro un Pdl percorso sotterraneamente dalla preoccupazione per il dopo-Berlusconi. In mezzo l'Italia immobile».

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