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Addio a Nantas Salvalaggio, scrittore e maestro d'ironia

Un'immagine di repertorio di Nantas Salvalaggio (Foto GMT)

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«Nantas, ci vediamo allo Strega?». Lo stuzzicavo, proprio un anno fa. Perché lui, che nel 1987 era stato finalista allo Strega con «Fuga da Venezia» e che era tra i 400 Amici della Domenica, mi pareva restio ad affacciarsi al Ninfeo di Villa Giulia. «Non so, i libri di oggi hanno tutti lo stesso difetto: raccontano troppo. Invece la letteratura deve alludere, nutrirsi del non detto». Salvalaggio, non si sa se più giornalista o romanziere, in questo era speciale. Creava le atmosfere, ci girava intorno, ai fatti. I fondi, i commenti che fino a pochi mesi fa ha scritto per «Il Tempo», erano un monumento alla divagazione, all'ironico distacco. Nantas era flaneur della vita e della scrittura, uno che passeggiava attorno all'argomento. Ma alla fine dava la stoccata giusta, risolutiva, come un cavaliere veneziano con tricorno e spadino. Già, Venezia. Salvalaggio aveva la sua città nelle midolla, e però era il più internazionale degli scrittori nati all'ombra di San Marco. Per tutti gli anni passati da inviato speciale: a New York, a Parigi, a Londra. Faccia a faccia con le facce più celebri del mondo: Marilyn Monroe, innanzitutto, il più grande scoop. E poi Alec Guinness, Humprey Bogart, Ingrid Bergman, Lawrence Olivier. In Laguna aveva festeggiato i suoi ottant'anni. «Sono all'Harry's Bar, con tutti gli amici, ci sono anche Valentina Cortese e Lauren Bacall. Un sole così schietto qui non s'è visto per tutta l'estate», mi disse dal cellulare. Ma Roma è la città dove trovò la sua strada. Ci venne a 18 anni, su un camion militare americano, in tasca tremila lire avute dalla zia. Si sistemò in una pensioncina a via Nazionale. Scrisse un racconto, «I Pugili» e lo inviò al «Marc'Aurelio», la rivista di Fellini e Steno. Glielo pubblicarono. Renato Angiolillo, il fondatore de «Il Tempo», lesse e lo mandò a chiamare. «Mi mise all'edizione pomeridiana del giornale, L'Espresso», raccontò Nantas il giorno degli ottant'anni. Poi venne il colpaccio dell'intervista a Togliatti. Un divertissement, più che un botta e risposta. Con Il Migliore che discettava e il cronista che intercalava, tra parentesi, le fantasticherie di pisolini da fare sui tappeti sparsi nel salone. Fu dopo quel pezzo che Angiolillo lo spostò al «Tempo», promuovendolo inviato speciale. Decollò così il Salvalaggio uomo di mondo. Che non inzuppava mai nella mondanità. Amava parlare in radio. Della tv odiava gli urli, le risse. Ci cascò solo una volta, quando apostrofò la Rai che ospitava Vasco Rossi «alcolizzato e cocainomane». Il cantante di Zocca prese la palla al balzo. È Nantas «quel tale che scrive sul giornale» in «Vado al massimo». E Salvalaggio, qualche tempo dopo, in un articolo: «Il mio amico Blasco mi perdonerà se al mio ultimo libro "Ho amato Marilyn" appiccico il titolo di una sua canzone: "La mia vita spericolata"». Era tornato il Nantas dell'humour.

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