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Dalla Sarfatti a Rachele tutte le donne del Duce

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Donne, tante, belle, misteriose, carnali, fortunate, disgraziate, sempre avvinte dal fascino dell'uomo di potere disposto a concedere loro ogni cosa in cambio di frettolosi istanti di godimento. Così le vite dei protagonisti della storia sono intessute di amori memorabili: Antonio e Cleopatra, Enrico VIII e Anna Bolena, Luigi XV e Madame de Pompadour, Napoleone e Giuseppina. Anche Benito Mussolini ebbe una sua nutrita lista fra presunte mogli, focose amanti, semplici concubine: una sessantina per la storia, seimila per il mito. Insomma al socialista, al fascista e al dittatore non mancarono mai gonnelle da sollevare e labbra da assaggiare. In un'untuosa autobiografia del 1911 raccontava della sua «prima volta», a 16 anni, con una prostituta: ne ricavò «un'improvvisa rivelazione del godimento sessuale». E più orgogliosamente aggiungeva: «Svestivo con gli occhi le fanciulle che incontravo, le concupivo violentemente con il pensiero». Ai suoi piedi dovevano cadere la colta Margherita Sarfatti, la scrittrice Leda Rafanelli, la giornalista Magda Fontanges e persino una pianista, Marie Anne Brard. Nomi e volti tuttavia evanescenti perché altre donne dovevano segnare l'esistenza dell'uomo di Predappio. Tra le prime Angelica Balabanoff, una socialista di origini ucraine che conobbe Mussolini in Svizzera iniziandolo al più severo marxismo. Per alcuni la bella sovietica era persino la madre naturale di Edda - ufficialmente - la figlia di Benito e di Rachele Guidi, la forlivese con cui Mussolini conviveva fin dal 1910. Comunque sia Angelica finì per preferirgli Lenin e il Partito bolscevico. Fu in una Milano vivacemente futurista che l'ancora anarco-socialista Benito faceva intima conoscenza della triestina Ida Irene Dalser, un diploma a Parigi e un salone di bellezza nel cuore della città meneghina. Sembra che i due contrassero persino un matrimonio religioso presto arricchito dalla nascita di un bimbo, Benito Albino. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale l'ormai interventista Mussolini si arruolava nel Regio Esercito di Vittorio Emanuele III e contestualmente impalmava Rachele Guidi con un regolare matrimonio civile nel dicembre del 1915. Seguivano anni tumultuosi e infine la Marcia su Roma, l'ascesa a Capo del Governo e a Dittatore mentre la Guidi diventava «Donna Rachele». A quel punto l'osannato Mussolini si sbarazzava dell'ingombrante Ida Dalser internandola nel manicomio di Pergine Valsugana e poi di San Clemente a Venezia. Un epilogo non meno amaro toccava al figlio della colpa, Benito Albino, che avrebbe finito i suoi giorni nell'ospedale psichiatrico di Milano Mombello morendovi un anno primo della caduta del fascio paterno. Tutto lasciava supporre che «Donna Rachele», innamorata di Benito fin da quando l'aveva incontrato per la prima volta nelle vesti di maestro elementare, dovesse porre fine alle smanie amorose del cinquantenne consorte. Un errore. Palazzo Venezia, il cuore pulsante del Fascismo, diventava l'ambita alcova di infiniti quanto rapidi incontri erotici, anche più di uno al giorno. E per ricambiare la generosità delle italiane Mussolini creava l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, un istituto che doveva tutelare e riscattare l'allora «sesso debole» ponendolo al centro della famiglia e della società. Una bella trovata se a Villa Torlonia egli non avesse continuato a razzolare male non stancandosi mai di ripetere: «Le donne devono solo badare alla casa, mettere al mondo dei figli e portare le corna». Rachele obbediva, con devozione, e sopportava il peso di tante «corna» e non ultime quelle di una sfacciata ragazzina della media borghesia romana, la ventenne Clara Petacci. Claretta aveva ammaliato il Duce e scandalizzato i colonnelli del Partito Fascista che in quella relazione ravvisavano un serio pericolo per la reputazione del Regime. La osservavano, impotenti, mentre si atteggiava a prima donna di Palazzo Venezia, la sola a cui era permesso di chiamare il Duce - seppure in privato - con il diminutivo di «Ben». Sarebbe stata lei a dominare la pur desolante parabola discendente del dittatore italiano e a condividere con lui un destino di morte consumatosi fra le pallottole di Dongo - il 28 aprile del 1945 - e i cappi di Piazzale Loreto a Milano. Rachele restava la moglie ossequiosa e fedele e nelle ore tragiche dell'agonia fascista metteva in salvo quanto restava di buono di un ombroso matrimonio, i figli. A lei sola la storia ha riservato di diritto il posto che aveva saputo meritarsi: riposa con Mussolini e i figli nella cripta di Predappio.

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