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Da Baudelaire a Poe se il male è arte nessuno lo imita

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Laviolenza che vi si racconta è "dentro un contesto" che ne impedisce la meccanica trasformazione in modello. Chi rinfacciava al Sindaco - che di fronte alla violenza giovanile accusa certi modelli di fiction e di programmi- il fatto che pure la favole grondano di assassini, deve ricredersi. Piuttosto, è grave che ormai in Italia non si può mettere in discussione ciò che certi padroni della tv e del cinema offrono. E così mentre un film come Katyn di Wajda (salutato come capolavoro a Berlino) viene esiliato da noi in sale secondarie, nonostante le promesse di Ministri, in tv i padroni della fiction ci rifilano - pagati con i soldi nostri - frescacce banali e violente. Il secondo fatto grave, però, è che si continua a confondere un'opera d'arte con della roba che poiché arte non è deve inevitabilmente sottostare a una preoccupazione di ordine morale. "I fiori del male" di Baudelaire ritraggono l'inquietudine di una coscienza dentro il male. Si potrebbe dire lo stesso dei racconti del suo maestro Poe, o di Dostoevskij o di Flannery O'Connor. Ma non sono fiction tv, sono opere d'arte e la rappresentazione che in esse si dà della esistenza - compreso il male - non "invita" nessuno a fare il male. Ma ad averne coscienza. Della sua seduzione e della sua gravità. Perché il male è così. Una fiction tv, avendo lo scopo di intrattenere dà una immagine piatta, "facile" della esistenza, e perciò può influenzare. Al che bisogna però avvertire anche, come faceva ancora Baudelaire, che se un lettore (o un telespettatore) si fa sedurre dal male incontrato in un'opera poiché la sua vita manca di guida e di una spinta morale, beh tanto peggio per lui. Il fatto grave, infatti, è che la tv può funzionare da modello solo in un vuoto di altri modelli. Cardini si domanda come mai non ci sono film che raccontano storie belle. In realtà ci sono. Ma è pur vero che raccontare il male è più suggestivo, e facile. Perché nel male il "mistero" ci vien più rapidamente incontro, insomma crea più audience. È così nella vita, no? Facciamo caso ai limiti, ai dolori, ai difetti più che al miliardo di cose belle che contemporaneamente accadono. E qui sta il terzo elemento grave di incomprensione in questa polemica. Fatto salvo che è meglio fare fiction che esibiscano meno banalmente il male, il problema della violenza dei giovani sta nel fatto che esiste nell'uomo una misteriosa possibilità di male. Che abbia visto, o no, mille o nessuna fiction. È troppo comodo dare la colpa alla tv. C'è un misterioso muscolo in ognuno di noi, di cui ciascuno è responsabile: libertà. Può essere usato per fare il bene o il suo contrario. Questo mistero occorre guardarlo negli occhi. Sentirne il "pericolo". E sapere che né il sindaco né una società che trasmetta solo film di buone favole lo può eliminare o arginare.

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