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Quindici anni relegato in un cassetto, non per volontà dell'autore ma perchè nessun editore voleva pubblicarlo.

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Menomale perchè «Canne mozze» di Mario Leocata (Armando Curcio Editore) è un romanzo di quelli che ti ammaliano e non vedi l'ora di finire, un grande affresco di 'ndrangheta, corruzioni, magistrati e esponenti delle forze dell'ordine collusi, servizi segreti deviati, attentati spettacolari di terroristi libici, donne molto carnali, sangue, odio e passioni travolgenti in giuste dosi. Tutto quello che c'è di marcio in un'Italia realistica (la storia è ambientata a Vaco, paese fantastico calabrese nel quale si riflettono i palazzi di potere e l'intera società del Belpaese) viene a galla come in uno stagno asfittico. Tra faide familiari, odi atavici, lotte fratricide Leocata ripercorre, a ritroso, la storia scellerata di quel fazzoletto di terra e, a un certo punto, passato e presente si ricongiungono. Perchè tutto scorre e niente cambia. Leocata, perchè non volevano pubblicare il suo libro? «Ci sono riferimenti storici precisi che non sono mai stati molto apprezzati. Prima di tutto dico che dopo il secondo conflitto mondiale i capi dell'ndrangheta decisero di schierarsi con la sinistra, sicchè tutti i voti dei mafiosi andarono tanto al Pci quanto al Psi. E poi quando il capocosca volendo fare deviare su una falsa pista del terrorismo di destra l'inchiesta sull'attentato dice che tutti abboccheranno perchè ad esempio Maurizio Costanzo e Michele Santoro appena possono prendono di mira la destra e gli danno giù». Ma gli editori erano così espliciti? «No certo. Dicevamo che il romanzo era confuso, inatendibile. Invece, immodestamente, è un capolavoro». Quanto c'è di vero e quanto di inventato? «Molti spunti di verità ad esempio il ragazzo di Calabria fuggito che racconta i retroscena e molte cose assimilata da film, letture ecc. Uno dei protagonista, lo scrittore che fa pure il detective è un escamotage narrativo». È mai vissuto in Calabria? «No, ma conosco bene la realtà siciliana e moltre cose le ho trasportate in quella calabrese». Nat. Pog.

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