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Il nuovo Quirino

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Tiberiade Matteis L'attore e regista Geppy Gleijeses, insieme alla Gittiesse Artisti Riuniti Teatro stabile di Calabria, ha vinto la gara d'appalto europea, avviata dall'Eti, per l'assegnazione del Quirino di Roma, dove arriva stasera con lo spettacolo eduardiano «Ditegli sempre di sì». A capo del più vasto polo imprenditoriale privato di ambito teatrale, Gleijeses inizia in questi giorni la gestione e la programmazione dello storico spazio scenico con l'intenzione di creare una sinergia tra finanziamento pubblico e sponsorizzazioni per garantire al teatro un funzionamento senza soste ventiquattro ore su ventiquattro e trecentosessantacinque giorni all'anno. Si può ancora avere fiducia nel teatro? «È stata una sfida coraggiosa che ho voluto intraprendere nella consapevolezza di assumermi oneri e onori con un piano industriale. La vittoria è stata possibile anche grazie alla presenza dello stabile di Calabria che è di interesse pubblico e una perla come il Quirino si aggiunge ora ai teatri calabresi. Si tratta di una struttura che ha un canone di locazione molto basso a fronte di costi di personale altissimi. Dovrò cercare il sostegno delle istituzioni oltre agli interventi degli sponsor per ampliare al massimo le attività, consentendo la nascita nel pieno centro di Roma di un luogo in cui si possano vedere film e video, ascoltare musica, leggere libri e riunirsi al di là degli appuntamenti canonici». Come valuta le recenti provocazioni di Baricco sulla necessità di escludere il teatro dai finanziamenti pubblici? «È una polemica strumentale, stupida e proterva che ha generato sgradevoli chiacchiere da bar. Sia Baricco sia i giornali avrebbero dovuto evitare una questione suscitata ad arte sulla pelle di duecento mila famiglie che gravitano sulla miserrima fetta del Fus destinata al teatro. Come può disquisire su questo tema proprio Baricco che ha incassato con il suo film 27 mila euro a fronte di un ingente finanziamento statale? Se si seguissero i suoi consigli i futuri gestori del teatro italiano sarebbero i vincitori di un reality come "La Talpa", in quanto sono attualmente gli unici a poter sostenere le spese di un allestimento. Si decreterebbe la morte del teatro di regia e il nostro Paese scomparirebbe dal panorama scenico europeo. Non va dimenticato che il teatro privato riceve poco e restituisce allo Stato un indotto straordinario. Senza soldi pubblici avremmo il deserto culturale». È vero che il pubblico vuole soprattutto ridere? «Dipende. Il mio progetto culturale ha come prima ratio quel margine ristretto in cui vendibilità e qualità riescano a viaggiare a braccetto. "Ditegli sempre di sì", per esempio, è una commedia in cui ci si schianta dalle risate, ma senza rinunciare alla profondità del pensiero, mantenendosi sulla linea del grottesco e seguendo gli insegnamenti di un artista come Eduardo». Cosa ha significato per lei avere un maestro come Eduardo? «Mi adopero a mettere in pratica le sue indicazioni. Diceva spesso: "tavola, tavola e chiodo, chiodo!" per segnalare l'opportunità di un puro artigianato teatrale in cui si lavora con lacrime, sudore e sangue in una vita circondata dal gelo. Esigeva rigore e religione del teatro. Così ancora vivo il mio mestiere e in quest'ottica ho educato mio figlio Lorenzo che recita con me in "Ditegli sempre di sì". La mia frequentazione con Eduardo è cominciata nel 1974 quando interpretai "Il figlio di Pulcinella". Nel 1975 mi diede i diritti di tutti i suoi testi e da allora abbiamo avuto un rapporto meraviglioso a dispetto del suo carattere ostico. Bisognava essergli simpatici, altrimenti poteva diventare molto burbero».

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