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Mantica: «A un grande come lui il Senato starebbe stretto»

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Manon ce lo vedo proprio imprigionato sullo scranno a schiacciare un bottone per votare». Alfredo Mantica, che il laticlavio ce l'ha, risponde così all'ambizione del nostro più grande attore - anzi, dell'«attore vivente più grande del mondo», dice - di entrare a Palazzo Madama, confidata a Il Tempo qualche giorno fa. Martedì Mantica, sottosegretario alla Farnesina e presidente della Commissione Nazionale per la Promozione della Cultura Italiana all'estero, consegna al mattatore di «Memorie di Adriano» la medaglia d'oro. «Ha diffuso la lingua e la cultura italiana nel mondo, per questo lo premiamo». Nella cornice più naturale, il palcoscenico di un teatro, il Ghione. Un'onorificenza che allunga la collezione già ricca di Albertazzi. Ma, senatore Mantica, lui dice di avere passione per la politica. «Un dèmone che lo agita da quando era giovane, e fece una scelta anticonformista, andandosene a Salò. Ma, ripeto, l'esercizio quotidiano della politica starebbe stretto a lui che vola alto sui palcoscenici del mondo. Provate a chiedere che cos'è a Luca Barbareschi». Che cos'è questo premio? «L'idea nacque nel 2003. La commissione, interministeriale e bipartisan, dà anche indirizzi agli istituti italiani di cultura. Il primo anno, presidente Baccini, fu insignito Giovanni Paolo II, inteso come testimone del legame tra cultura italiana e mondo cattolico. Poi toccò a Morricone, a Zeffirelli. Nel 2006-2007 il governo Prodi fermò il riconoscimento. Noi abbiamo ripreso. E io, da presidente, ho pensato subito a un attore. Logico il nome di Albertazzi, chi più di lui ha fama mondiale? L'ok della Commissione è stato unanime. E poi Giorgio mi sta simpatico». Sale o scende, la cultura italiana nel mondo? «Sale, e nei luoghi più impensabili. A Tblisi esiste una scuola italiana (dalle elementari al liceo). In Uzbekistan, a Bukara, gli studenti imparano l'italiano, indispensabile a chi adora, come loro, la lirica. La tv, nei Balcani, nel Nord Africa, veicola il nostro Paese. Nelle università di tutto il mondo impara la nostra lingua chi ama l'arte e la poesia. E in Italia si torna a fare il grand tour». Albertazzi è tutt'altro che di sinistra, lei lo premia. Una sfida? «Sulla sua figura non si può eccepire. Ha onestà intellettuale e civile, pur non avendo rinnegato le sue scelte giovanili, come invece ha fatto qualcuno che ha preso il Nobel. Ma è un fatto che un intellettuale, se non è citato su Repubblica o l'Espresso, non esiste. E la destra soffre, in questo campo, di sudditanza psicologica».

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