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Il sinfonismo di Beethoven ha una doppia anima russa

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LorenzoTozzi Vi sono legami affettivi che si consolidano nel tempo. Come quello tra il direttore russo Valery Gergiev, da tempo mente musicale del Teatro Mariinskij di Pietroburgo, e il pubblico dei musicofili capitolini. A Roma Gergiev ha portato negli anni scorsi produzioni russe e ha diretto grandi capolavori sinfonici sia russi che europei. Forse proprio per questo consolidato legame, nonostante gli ormai moltiplicati impegni artistici in giro per il mondo (oltre alla diletta Pietroburgo anche New York e Londra), Gergiev torna ora a Roma, al Parco della musica (in Sala S. Cecilia oggi pomeriggio con repliche domani e dopodomani) alla guida della Orchestra ceciliana per il cartellone sinfonico dell'Accademia. Ha scelto questa volta Beethoven, autore a lui congeniale per quel sano individualismo eroico che è la matrice stessa di tanto posteriore sinfonismo russo (si pensi al solo Ciaikovsky). E difatti in programma figura la celeberrima Sinfonia n.5 (1808), esemplare racconto in musica della lotta dell'uomo col suo destino, una partitura titanica che ha segnato un punto di svolta, di non ritorno, nel sinfonismo ottocentesco. E al contempo summa del comporre beethoveniano, tutto teso a trarre il massimo da temi essenziali, radicali, brucianti. Come quello celeberrimo d'avvio, incentrato su un solo riconoscibile intervallo. A far compagnia sarà il Concerto per violino in re maggiore op. 61 (1806) dello stesso Beethoven, attraversato da una innata contabilità e da un velo di mestizia. Solista d'eccezione sarà Vadim Repin, anch'egli russo, nato in Siberia nel 1971, virtuoso dell'archetto dalle mille sfaccettature. Enfant prodige (primo classificato al Concorso Wieniawsky a soli undici anni e vincitore del Reine Elisabeth a diciassette), debutta quattordicenne e l'anno dopo è già alla Carnegie Hall di New York. Da allora è ospite delle sale concertistiche di tutto il mondo con lunghe tournée in Australia e America, suona al fianco di solisti stellari come Martha Argerich, Bashmet, Kyssin o Misha Maisky. Tra i suoi cavalli di battaglia proprio il Concerto in re di Beethoven, inciso con Riccardo Muti sul podio dei Wiener Philharmoniker. Suona un Guarneri del Gesù del 1736.

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