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«Non cedo la scena ai leader di partito»

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Tre ore di one man show, premiato da due settimane di tutto esaurito prima ancora del debutto, in cui il protagonista si racconta dall'infanzia a oggi, escludendo volutamente le questioni politiche con lo stesso consapevole rifiuto destinato alle parolacce e a ogni forma di volgarità comica. Nella sua simpatica fustigazione dei costumi ce n'è per tutti, tranne che per i potenti di turno? «I politici sono dei comici nati. Fare battute sui leader di partito è come sparare sulla Croce Rossa! Un tg è più divertente di uno show, il mio spettacolo non reggerebbe al confronto. Non darò ai politici il mio scalpo: non permetto loro di entrare sul palco, che considero casa mia, né intendo cedere la scena. Se vogliono venire a vedermi devono chiederlo con molta gentilezza, pagare il biglietto e possibilmente non con i soldi del contribuente, ma non conteranno mai più degli altri spettatori». Preferisce riempire i teatri che apparire in televisione? «Quando all'apertura del sipario vedi 1540 persone, come accade al Sistina, è impressionante. A Milano hanno aggiunto gli strapuntini che non tiravano fuori dagli anni Ottanta. Mi auguro di suscitare nei bambini l'emozione che mi procurò "Rugantino". Spero che la gente butti il telecomando nel water, e non nella spazzatura così non si rischia il riciclo, e approdi ridanciana a teatro. Dicono che il teatro sia moribondo: è vivissimo. La gente paga tre mesi prima di vedere il cammello!». Perché la gente l'ama tanto? «I miei testi escono dal cuore più che dalla mente. Sono il comico meno copiato al mondo: le mie battute cambiano sempre e non riesco neppure io a ripeterle uguali. Interagisco con gli spettatori e improvviso molto». T. d. M.

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