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La madre di tutte le avanguardie nasce sotto il segno della ribellione

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Il primo pargolo, le prime copie, la prima pagina: l'esplosivo Manifesto è lì, riempie gli occhi, e i ragazzacci futuristi, Tom Baffo Elettrico in testa, scoppiano di gioia. Del resto, è tutta un'esplosione, tutto un tuono con quell'infante che grida e sgambetta, andando all'assalto della terra e del cielo, a suon di dirompenti "Noi". Punto primo: «Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità». Punto secondo: «Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia". Punto terzo: «La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno". E così si va avanti baldanzosi, innalzando inni alla velocità, incitando gli artisti all'entusiasmo creativo, celebrando la bellezza della lotta, glorificando guerra, patriottismo e dinamite libertaria; incitando a chiudere in soffitta le impolverate bellezze della classicità in nome di tutto ciò che è moderno, dinamico, elettrico, attivo, frenetico. Fa un freddo cane a Parigi, quel venti febbraio, ma a toccare i futuristi ti bruci tanto scottano di febbre. E non è che il tumultuante inizio, prepotentemente massmediatico, tra l'altro, perché il trampolino del "Figaro" garantisce un bello slancio, e del "Manifesto" nei giorni seguenti si scrive dappertutto: dal "Daily Telegraph" di Londra al "Sun" di New York, dalla germanica "Frankfurter Zeitung" alla ispanica " Nación". Insomma, è chiaro che i futuristi hanno un futuro. Ovvio che nascano figli su figli, manifesti su manifesti: poeti, scrittori, pittori, scultori, architetti, musicisti, teatranti, cinematografari, scenografi, gastronomi ecc. avranno il loro manifesto. Ci saranno proclami di femmine futuriste. Ci sarà un partito politico futurista, al di là della destra e della sinistra. E siccome già nel 1909 al punto undicesimo del Manifesto Principe si leggeva "Noi canteremo il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta", ecco che nel 1931, all'insegna del "SEMPRESALIRE", viene battezzata l'Aeropittura, gagliardamente intesa a moltiplicare forme e colori grazie alle nuove prospettive che si guadagnano godendosi la terra dal cielo. Padrini d'eccezione le Vestali del Futurismo: Marinetti, Prampolini, Balla, Depero. All'intorno una giusta atmosfera festaiola: l'Italia degli anni Trenta è quella delle grandi imprese aviatorie di Balbo, De Pinedo, Maddalena, Ferrarin. Si arrampica nell'azzurro anche il pittore futurista viareggino Uberto Bonetti che dipinge memorabili aeroviste della Versilia, della Toscana, dell'Emilia. Ma che inventa anche il Burlamacco, la maschera-simbolo del Carnevale di Viareggio, perfetta opera di sintesi futurista, creata proprio nel '31: gli occhi, due fessure, la bocca, un taglio ghignante, il vestito, un gioco di triangoli bianchi e rossi. E poi in testa un rosso cappello a forma di barca e un mantello nero sulle spalle. Bene, per il Carnevale 2009, Burlamacco vola. Si alza dal mare e si proietta in cielo a braccia levate. Così lo vediamo sul Manifesto, già presentato alla stampa. Un omaggio all'aeropittore Uberto Bonetti, a cent'anni dalla nascita. Un omaggio al Futurismo, cent'anni sulle spalle, ma giovanissimo.

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