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Torna la Madonna più amata di Raffaello

La Madonna del Cardellino di Raffaello

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Lei è la studiosa dell'Opificio delle Pietre Dure che ha restaurato la «Madonna del Cardellino» di Raffaello. Quella dolcissima donna con i due bambini-putti - Gesù e il Battista - replicata all'infinito nei santini devozionali, protagonista del quadro davanti al quale fino al 1998, nella sala 26 degli Uffizi, i visitatori facevano la fila. Adesso il lavoro della restauratrice è concluso. Ha messo a dura prova i suoi occhi per pulire e risanare, sempre dietro al microscopio, l'opera. «Un centimetro, un centimetro e mezzo al giorno, non di più», racconta. E però dal 23 novembre tutti potranno rivederla. Prima in una mostra ad hoc a Palazzo Medici-Riccardi di Firenze. Poi, da marzo, in quella sala 26 degli Uffizi che è da tre secoli la sua dimora. Bella gatta a pelare decidere un restauro così. É il sospiro, appena esplicitato, di Cristina Acidini, Antonio Natali e Bruno Santi, rispettivamente a capo del Polo Museale Fiorentino, dell'Opificio delle Pietre Dure e della Galleria degli Uffizi. E lo stesso interrogativo s'era posto Antonio Paolucci, l'ex ministro che ora dirige i Musei Vaticani e che diede il via all'«operazione Cardellino». Perché le polemiche sull'opportunità di togliere la romantica patina del tempo a un dipinto sono sempre in agguato e il caso della Cappella Sistina insegna. «Con James Beck scambiavamo querele anche se poi finivamo insieme in osteria - ricorda Natali - Lui paragonava un restauro al lifting su una persona di cento anni. Io dico: no, è una doccia a una persona che non si lava da cento anni». Ci sono voluti 24 mesi di analisi per decidere se valeva la pena porre le mani su quella tavola malmessa. Ma poiché sotto la polvere di 500 anni, la «cacca delle mosche» - come dice esplicito Natali - e le ridipinture di due restauri dell'Ottocento si capì che era rimasto parecchio Raffaello, si convenne di procedere. Adesso abbiamo un quadro dove il celeste del cielo è tornato celeste, il verde degli alberi verde. Abbiamo un capolavoro che, con la documentazione acquisita, racconta per filo e per segno la sua storia, fatta di alti e bassi, come quella di una persona, o di un popolo. È il lavoro di un Raffaello giovane, a Firenze tra il 1504 e il 1508. Anni in cui c'erano anche Leonardo e Michelangelo, «e i tre pittori erano in sana competizione», spiega Acidini. Raffaello frequentava la casa del ricco mercante Lorenzo Nasi, che, sposandosi, gli commissionò la Madonna. La usò, beato lui, come capoletto. Fino a quel giorno del 1547 quando - Raffaello era già morto - un terremoto distrusse la dimora e il quadro. Spaccato in tre grossi pezzi e questi pure incrinati. Un ignoto restauratore la ricompose - con chiodi, colla, ridipingendo qua e là. Poi la comprarono i Medici per 600 scudi, e nel 1704 finì agli Uffizi. Tac, raggi x e la pulitura hanno scoperto quelle ferite. Le mani della Riitano e del «mago del legno», Ciro Castelli, hanno ricomposto le fessure. E adesso è più di un'ipotesi il nome del primo restauratore: Ridolfo, il figlio del Ghirlandaio, sodale di Raffaello negli anni fiorentini. Anche con questi nuovi tasselli di storia la Madonna del Cardellino, tornerà, in una teca protettiva, agli Uffizi. Ci resterà per sempre: Natali l'ha inclusa nell'elenco delle 23 opere per legge inamovibili (dal Tondo Doni alla Venere di Tiziano, alle Maestà di Giotto, Duccio di Boninsegna e Cimabue). A chi chiede qual è ora è il malato da curare, Acidini risponde: la «Battaglia» di Paolo Uccello.

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