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Prima di girarle, le carte sono bianche. A fare il punto, ...

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L'essenziale, è che gli altri non se ne accorgano. È questa la splendida lezione di "Quella sporca ultima carta", scritto da Fabio e Maurizio Caressa (Baldini e Castoldi e Dalai, Milano), due fratelli di cui il primo, notissimo telecronita di Sky Sport ha "esportato" sulla sua emittente, con coraggio e un briciolo di fortuna -che al gioco serve sempre- i tornei sportivi di "Texas Hold'em", una variante della telesina che in breve, grazie anche alle altrettanto fortunate trasmissioni di Italia Uno, è diventato un fenomeno di massa (per le regole, v. il box). Il libro dei Caressa è un godibilissimo e avventuroso florilegio di storie viste, e ben raccontate, proprio in quei casinò grandi come supermarket da cui partono i tornei di massa per arrivare poi, in cinque o in sei, al tavolo dei finalisti, dove il primo premio ammonta di solito a cifre come un milione di dollari. Per chi ama il poker, e la "texana" in particolare, un libro da non mancare perché, appunto, permette al lettore di essere testimone oculare di battaglie acerrime, vinte o perse dai giocatori spesso ancor prima di guardare le carte. Del resto, non era così nelle battaglie del passato? I contadini belgi di Waterloo non si godevano lo spettacolo dalle colline circostanti intorno alla pianura in cui Napoleone fu travolto dagli anglo-prussiani? Bene, per il poker è lo stesso. Una battaglia-spettacolo che, in origine, riguardava solo i giocatori (come pubblico, al massimo, qualche prostituta del saloon in attesa di clienti) e che poi, con l'avvento del cinema ha allargato il proprio pubblico a quello delle sale, diventando mito in altrettanti film che tra breve ricorderemo. Per poi trasformarsi in fenomeno di massa con la tv e, sul web, con l'enorme numero di casinò-on-line. Ma si parlava dei film. "Se sei ad un tavolo di poker ed entro mezz'ora non capisci chi è il pollo, allora vuol dire che il pollo sei tu" si ripetono i due professionisti Matt Damon e Ed Norton in "Rounders-Il giocatore", un film del 1998, diretto da John Dahl, valido soprattutto per la mano finale di "texana" (il film fu la prima pellicola a mostrare in Italia questa nuova variante di gioco, determinandone in parte il successo grazie alla popolarità dei protagonisti), giocata tra il vecchio usuraio ed espertissimo John Malkovich, più glaciale e perfido che mai, e un Matt Damon solo in apparenza giovane e bamboccio. Al punto da scoprire il punto debole del suo avversario, cioè un impercettibile gesto ripetitivo che ne tradisce l'emozione legata al punto che ha o che finge di avere. Scontato il finale, vince Damon, perché è più furbo. E quindi, più bravo. Grazie a quel difetto dell'avversario, ragiona in modo tale da migliorare il suo punto e batterlo. Più sentimentale "Le regole del gioco", ambientato tra i tornei di Las Vegas (proprio quelli raccontati da Caressa nel libro e in tv). Fra i tavoli, s'inseguono un padre già supercampione di "Texana" (Robert Duvall) ed un Eric Bana che vorrebbe eguagliarlo, ma anche vendicarsi dell'abbandono subito in infanzia. Finirà con "al diavolo i soldi, meglio ritrovare un padre. E un figlio". Ma anche al cinema, a poker si muore. Nella "Conquista del West" di Cecil B.De Mille si rievoca la morte del pistolero "buono" Wild Bill Hickock (Gary Cooper), ucciso alle spalle da un ometto proprio mentre scopriva una doppia assi e otto, che da quel giorno si chiama infatti "doppia del morto". In realtà, il poker "da saloon" è presente in una sterminata serie di film americani, anche se le mani sono spesso solo un colpo di sceneggiatura per far incontrare i due personaggi, presentandoli al pubblico. Basti ricordare la mano iniziale di "Butch Cassidy" (1969, di George Roy Hill) in cui Sundance Kid (Redford) è salvato dall'intervento di Butch (Newman) dopo aver vinto un piatto contro un "gambler", cioè un giocatore professionista. Et voilà: dopo cinque minuti dall'inizio del film, grazie a quella scena, il pubblico sa già tutto dei due protagonisti. Insomma, da "Ombre Rosse", del 1939, a "Pat Garrett e Billy The Kid", del 1973, passando per "Poker di Sangue" (1968) a "Sfida infernale" (1946) non c'è star di Hollywood che non abbia tenuto le carte in mano almeno per un minuto. Ognuno ha i suoi gusti, specie i giocatori, ma le scene "made in Hollywood" che restano nella memoria di chiunque sono almeno due. La prima è l'irresistibile sfida tra Henry Gondorff-Paul Newman, baro di professione in società con Robert Redford, nella "Stangata", sempre di Hill, del 1973. Il "pollo" è il gangster Donny Lonegan, un grande Robert Shaw, che nel tragitto New York Chicago organizza partite truccate, ma a suo favore. Newman lo sa e, fingendosi ubriaco ma "in grana", si siede al tavolo, insolentisce in maniera esilarante il rivale che aspetta solo di avere le carte giuste per sbranarlo. Si dà un poker di nove e a Gondorff rifila un poker di tre che Newman, contro ogni previsione, trasforma in un poker di jack con cui vince diecimila dollari. Commento di Lonegan: "Perché l'ho lasciato andare? Mica potevo dirgli che bara meglio di me!" La seconda scena è quella con cui finisce "Cincinnati Kid", del 1965, di Norman Jewison. Dopo un torneo senza pause, sono rimasti di fronte il campione anziano, Edward G. Robinson, che appare in difficoltà, contro il giovane e bravissimo Steve McQueen. È una telesina classica. Una carta coperta e quattro scoperte. L'ultimo rilancio di Robinson, che ha fuori quattro quinti di cuori a scala reale non convince McQueen, che ha chiuso un full di donne e che quindi, vede. Ma il jack di cuori che Robinson scopre, in una memorabile sovrapposizione del volto della carta con quello dell'anziano giocatore, è per Mc Queen la sconfitta più atroce. "Non te la cavi male, ragazzo, ma finchè ci sarò io in giro, sarai soltanto il secondo". Dopodichè McQueen esce dal saloon, e perde un cent a battimuro persino col ragazzino che lo considerava imbattibile. Bellissimo. Poker e vita. In Italia, come il Festival di Sanremo o il Campionato di calcio, il poker è un fenomeno di massa che non ha mai dato granchè al cinema. C'è però, epica e profonda, oltrechè tecnicamente avvincente, la "duologia" di "Regalo di Natale" di Pupi Avati. Sono due film, il primo del 1986 ed il "sequel" "La rivincita di Natale" del 2004. Nel primo, indimenticabile per la bravura del regista nel dirigere gli attori per due ore seduti ad un tavolo da poker, riappare e si rilancia Diego Abatantuono, dato per finito dopo il flop di "Attila", dell'83. Macchè: qui Diego è il protagonista assoluto, ma anche la vittima sacrificale di un ignobile gruppo di amici che ingaggiano un professionista, Santelia (un Carlo Delle Piane talmente bravo da soffiare la Coppa Volpi al favorito Walter Chiari alla Mostra di Venezia) per mettere il loro vecchio amico, diventato un affermato esercente, di giocarsi anche la camicia. Il tradimento, alla fine dell'ultima mano in cui Abatantuono va a testa bassa con un full d'assi contro il colore di picche di Santelia, è magistrale. Nella mente dell'uomo si riannodano le fila delle conoscenze di ciascuno dei suoi amici, è come se Santelia andasse punito per aver tentato di rompere l'atmosfera di quella rimpatriata. E scoprire che invece sono stati proprio i suoi amici a chiamarlo contro di lui per poi spartirsi il bottino è per Diego/Franco una lezione amarissima. Eppure, un'incursione, bellissima, nel poker, il cinema italiano l'aveva già compiuta. Manco a dirlo, l'idea era stata di Dino Risi nel suo "L'ombrellone" (1966), affresco delle vacanze della media borghesia romana e milanese sulla costiera romagnola. Un film geniale, in cui Enrico Maria Salerno, ingegnere un po' noioso, si accorge di star perdendo poco a poco la stima di sua moglie, l'esplosiva Sandra Milo. Che, manco a dirlo, lo trascina in gite, falò sulla spiaggia, locali, finchè all'alba, su una barca del riccone di passaggio, Salerno sta giocando a poker contro l'uomo che, ha capito, potrebbe rubargli la moglie. È un dandyssimo Lelio Luttazzi che spara grosso con tre assi serviti. Salerno ha una scala media, e per di più ad incastro. A rigore non dovrebbe andare e invece accetta, cambia una carta e chiude la scala. Da quel momento, sua moglie è di nuovo sua. Poker, vita e le donne. I soldi non contano niente.

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