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Brachetti: «Sogno di fare un musical con attori e ballerini»

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Permolti, unico vero erede del grande Fregoli. Recentemente in scena al Sistina di Roma con il suo ultimo spettacolo, l'infaticabile Arturo, è adesso in tournèe a deliziare altre platee in giro per l'Italia, per proseguire poi verso Parigi, città cui è particolarmente affezionato. Brachetti, qando si è accorto che avrebbe voluto fare del teatro? «Da piccolissimo, già prima della scuola mi piaceva fare imitazioni e travestirmi per intrattenere parenti e amici. Poi in seminario, dove ho studiato per la scuola dell'obbligo. Ero particolarmente attratto dai giochi di illusionismo di un sacerdote che era tra i nostri insegnanti. Lo pregai di prendermi come suo assistente, così lui con pazienza, mi insegnò qualcuno dei suoi trucchi». Perchè la sua arte è tanto amata in Francia? «La vera professione artistica l'ho praticamente iniziata li. Sono scappato a vent'anni, l'ambiente di Torino mi pareva troppo tradizionalista e soffocante, i miei non erano molto d'accordo con le mie aspirazioni artistiche, e a Parigi ho trovato un ambiente che mi ha favorito e incoraggiato. Lavoravo in un piccolo locale-cabaret come imitatore e trasformista e tutte le sere c'era il pienone». Agli inizi c'è stato qualcuno che l'ha guidata? «Non proprio. Ricordo che avevo letto del grande Fregoli, da piccolo, e mi sarebbe piaciuto diventare come lui. Pensavo che potersi trasformare in tanti personaggi, fosse un po' come vivere tante vite. A Torino, la mia città, ho avuto modo di conoscere e frequentare da vicino il grande comico Erminio Macario, è stato molro paziente con me. Io ero poco più che un bambino, ma mi permetteva di andare dietro le quinte a curiosare. Forse potrei considerare Macario un po' un mio maestro. Poi ho collaborato anche con qualche grande del teatro italiano, come Ugo Tognazzi, e anche da lui ho imparato molto. A noi giovani diceva sempre: "Ricordatevi, quando entrate in un personaggio, per prima cosa dovete immedesimarvi in lui a partire dalle scarpe, e non dalla testa". Questo per insegnarci l'umiltà e l'impegno. Ma per quello che sono diventato, posso definirmi piuttosto un autodidatta: non provengo dal teatro classico, ho subito lavorato e imparato dall'esperienza diretta, osservando la gente». Svelerebbe qualcuno dei tuoi trucchi? «Mai». Ha qualche hobby? «La mia vita diciamo professionale è piuttosto frenetica. Quando "stacco" non faccio niente. Dormo, vedo qualche amico o leggo un libro e non rispondo al telefono». C'è un libro che le ha cambiato la vita? «"Il piccolo principe" di Antoine de Saint Exupery». Le piacerebbe portare la sua arte in tv? «Preferisco il contatto diretto con il pubblico, in teatro un artista si sente maggiormente realizzato». Quali sono i prossimi progetti? «Oltre alle tournée, mi piacerebbe mettere in scena un musical con tanti attori, ballerini e cantanti, e dedicarmi anche a qualche regia, ma è ancora prematuro». Il suo pubblico è davvero vario per genere ed età, direi dai cinque ai novant'anni. Che rapporto ha per esempio con i bambini? «Più che buono direi paritario: perché anch'io mi sento un bambino. Malgrado l'età ho ancora in me la capacità di stupirmi, di incuriosirmi alla vita, di trovare nelle cose comunque qualcosa di buono da esplorare, e questo è tipico dei più piccoli. E penso che il pubblico che mi segue è in grado di apprezzarlo, e anche di capire come sia importante mantenere dentro di sé quella parte "bambina" che ti aiuta a sognare e a sperare sempre in un futuro migliore».

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