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Maurizio Piccirilli [email protected] Shoah una ...

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Viva perché ancora vivi sono alcuni dei sopravvissuti a quel genocidio. Viva perché il ricordo di quella tragedia ha il dovere di essere ricordato perché non si ripeta più. Viva perché la memoria dei luoghi resta impregnata di quell'orrore. Ma l'Olocausto o la Shoah come si voglia definirlo non è soltanto nei luoghi lontani in Germania o Polonia, o nella Risiera di San Sabba. Non vive solo negli incubi di coloro che sono tornati o nelle paure di chi, ebreo, sente ancora oggi il disprezzo di alcuni. La Shoah è tutta intorno a noi, in questa splendida città che è Roma. In questa città che dal 64 avanti Cristo vede la presenza degli ebrei: sono loro i romani più antichi e più veraci. La «soluzione finale», il progetto «La terra sarà pura», inizia per gli ebrei italiani con le leggi razziali del 1938 come ha puntualmente sottolineato il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano alcuni giorni fa. Ma le porte dell'inferno si aprirono alcuni anni dopo. Un fonogramma riservato spedito il 6 ottobre 1943 da Berlino dall'Obersturmbannf al maggiore Kappler ordinava di «catturare e portare in Nord Italia gli 8000 ebrei che vivono a Roma. Devono essere liquidati». Il documento fa parte delle migliaia conservati nell'archivio della Gestapo e declassificati in questi ultimi anni e resi di pubblico dominio solo lo scorso anno. L'ordine arrivò a Roma il 6 ottobre 1943 e il 16 ci fu il rastrellamento del Ghetto di Roma. Il viaggio nella memoria inizia da lì: Portico d'Ottavia. Una lapide sul muro dell'edificio che ospita la Soprintendenza archeologia ricorda quel tragico giorno. All'alba di quel mattino di metà ottobre intere famiglie furono trascinate via dalle loro case e trasferite sui camion in attesa nello slargo tra Portico d'Ottavia e il Teatro di Marcello. Il convoglio partì e si diresse sul lato opposto del Tevere. In quello che un tempo era il Collegio Militare, a Palazzo Salviati, in via della Lungara, che ora è sede del Centro Alti studi Difesa, furono riunite le famiglie di ebrei appena rastrellate. Anche qui una targa ricorda quell'episodio ma molti ignorano quanto avvenne tra quelle mura. Così come tanti ignorano i drammi che si consumarono nell'edificio di via Tasso che ospitava il comando Gestapo. Ora c'è un museo ma sempre troppo poco frequentato. Tra quelle mura furono torturati ebrei e partigiani e anche semplici oppositori. Lo stesso avvenne in via Lucullo dove oggi ha sede la segreteria nazionale dell'Uil. Al tempo dell'occupazione tedesca c'era un tribunale militare dove furono condannati e torturati antifascisti ed ebrei. Le SS non si limitarono alla «facile retata» nel Ghetto. A Trastevere, Testaccio Monteverde andarono casa per casa a prelevare gli ebrei di cui avevano scoperto la residenza negli archivi dell'Anagrafe di Roma. Così in via Brescia e via Flavia intorno a piazza Fiume. Così fu anche dalle parti di piazza Bologna quando in via Adalberto presero una nonna e il suo nipotino di appena quattro anno. Ennio Lanternari non tornò più, sua nonna Settimia Calò, si salvò. Ritornando sui passi della deportazione un pensiero a quelle vittime, uomini, donne, bambini deve essere speso quando passiamo dalle parti della Stazione Tiburtina. È lì che gli ebrei romani furono stipati nei vagoni piombati e spediti ad Auschwitz. Ma alcuni sfuggirono alla cattura. In molti trovarono rifugio nelle chiese che circondano il Ghetto di Roma. A San Carlo ai Catinari gli ebrei furono nascosti in un'antica biblioteca alla quale si accede da un ingresso segreto. Ancora oggi tra i libri antichi ci sono piccoli volumi di salmi in ebraico lasciati dai rifugiati. E ancora molti trovarono rifugio all'Isola Tiberina presso l'ospedale Fate bene Fratelli grazie all'opera di un medico, Giovanni Borromeo. Lui come altri divennero Giusti tra le Nazioni. Come Suor Marcella Girelli dell'Ordine di Sion che ospitò nel suo convento al Gianicolo numerosi ebrei scampati alla retata. E di Giusti tra le Nazioni italiani onorati allo Yad Vashem, il museo dell'Olocausto a Gerusalemme, ce ne sono 440: tra loro il questore di Fiume Giovanni Paltucci ma anche lo zio vescovo che lo aiutò a salvare migliaia di ebrei. «Sono loro ad aver fatto da contraltare alla passività e al colpevole silenzio di tanti- ha sottolineato Renzo Gattegna presidente dell'Unione delle comunità ebraiche - . Con i loro gesti hanno salvato l'onore dell'Italia».

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