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Tiberia de Matteis Le potenzialità teatrali insite nel ...

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Il teatro può accogliere e rappresentare i viaggi mentali con la potenza lungimirante della poesia nell'anticipare le acquisizioni della scienza. Cosa ha imparato misurandosi con le parole degli scienziati? «Ogni epoca letteraria sa riflettere il suo pensiero scientifico. I cervelli speculativi o poetici possono andare oltre la realtà e le loro conquiste possono poi essere provate o sconfessate dall'esperienza. Se il "De Rerum Natura" di Lucrezio descrive universi immaginari che prevedono future scoperte, Leonardo appare più preciso e tecnico, ma anche in "Copenaghen", che ho interpretato anni fa, la fisica teorica elaborava quello che in seguito doveva essere ratificato scientificamente. Il teatro ha proprio il merito di poter rappresentare anche quello che non si è ancora sperimentato. Gli attori vivono sul palco tante morti diverse e non sanno come sarà la loro e se una di quelle simulate potrà mai corrispondere alla loro vera fine». Anche «Molly Sweeney» affronta il tema dei limiti da porre alla scienza? «Una donna non vedente e quindi "diversa" viene condotta alla normalità con un'operazione chirurgica ritenuta doverosa e in realtà catastrofica. Valutare il nostro mondo come l'unico possibile è un errore e la protagonista, sottratta alla sua condizione abituale, diventa una disperata. Tutto nasce da un contributo di Oliver Sacks che è uno scrittore, ma soprattutto un ricercatore di casi clinici. Il pregio dello spettacolo sta inoltre nell'invitare il pubblico a provare la cecità, privilegiando gli altri sensi come l'udito e il tatto. Quando all'Istituto dei non vedenti di Milano mi hanno consentito di sperimentare un percorso come se fossi cieco fino ad arrivare a prendere un caffé in un bar, l'ho consumato con una gioia mai conosciuta prima apprezzando l'aroma e la temperatura ed entrando in una realtà che di solito non avverto». Il teatro imita la vita o la supera? «A volte può essere la vita, in altri casi conduce verso l'altrove del dubbio. Mi attrae sempre l'interrogativo umano sull'esistenza e sul destino. Amleto ne è il prototipo, ma c'è anche il desiderio di sapere dell'Ulisse di Dante. Ci si allontana dal certo per dirigersi verso l'ignoto come in un sogno in cui si affrontano situazioni improbabili e ancora non sondate». Lei crede nel soprannaturale? «Non mi faccio domande da solo, cerco le risposte soltanto se sollecitato dagli altri. Mi sento agnostico. Le mie priorità quotidiane mi attraggono di più».

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