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di GIUSEPPE DE CARLI «Se hai problemi con la macchina, ...

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Questo strappa un sorriso all'arcivescovo Angelo Bagnasco. I ragazzi, nella parrocchiale degli Angeli Custodi di via Carrara, gli offrono un presepio di cioccolato. «Cari ragazzi - risponde il presule - siate buoni e dolci come il dono che avete voluto farmi e non dimenticate che la vera dolcezza e bontà si impara solo alla scuola di Gesù Cristo». Poi, nel salone parrocchiale, l'incontro con la comunità. Anche qui a domanda rispondo. Bagnasco non ha fretta e una delle caratteristiche di questa sua visita pastorale è che non guarda mai l'orologio. Ha un programma da stroncare anche una persona vigorosa. Incontri a raffica, sante messe per gruppi, ascolto di movimenti e associazioni, visita agli istituti scolastici, ospedali e carceri, case di accoglienza. Una vita da inferno? «No - replica sereno il cardinale - è una stagione della vita, è una responsabilità da cui non posso abdicare». Per il presidente della CEI il dritto e il rovescio di un incarico che lo pone in cima alla Chiesa italiana. Il rovescio della fatica e degli estenuanti spostamenti, il dritto della lontananza dai centri di potere. Eminenza, il periodo di Natale coincide con una partecipazione straordinaria dei fedeli: oltre il 70 per cento va alla messa di mezzanotte e si accosta al sacramento della confessione; ma durante l'anno la partecipazione cala. Che tipo di fede è quella del popolo italiano? «Ha delle radici profonde, la religiosità è tipica dell'animo umano, è tipica del nostro popolo che però vanta un radicamento storico, culturale di secoli, di millenni. Ecco, questo sedimento religioso cristiano e cattolico è nel cuore della nostra gente. E spiega anche questo richiamo bello, forte, partecipato e numeroso soprattutto in certi momenti dell'anno liturgico, come il Natale o la Pasqua o le feste patronali. Un sentimento profondo dell'animo, che poi, magari nella pratica più quotidiana, settimanale, giornaliera, non è abbastanza resistente, documentato, pensato e coltivato per poter ispirare comportamenti sempre coerenti. È necessaria, come ci ha ricordato il Papa nell'assemblea dei vescovi del maggio scorso, una formazione più sostanziosa per poter far germogliare e portare a frutto, a pianta, quei semi che sono molto radicati, molto profondi, quei semi di fede cristiana». È una Chiesa, quella italiana, che non vuole fare politica. Ma qualcuno la pensa diversamente. «Libero di farlo! Liberi di dire noi che però non siamo un soggetto politico ma, come ha ricordato il Santo Padre anche a Verona nel suo discorso, interessa alla Chiesa il bene della società intera in quanto, messi di fronte al messaggio evangelico, la Chiesa ama l'uomo nella sua completezza, nella sua totalità di aspetti, quindi sia quello privato, personale, sia quello sociale. E quindi il bene del Paese, della società sta a cuore, come ricorda il Vaticano II, alla Chiesa. Naturalmente secondo le nostre competenze, che sono di carattere religioso. D'altra parte annunciare Cristo significa annunciare l'uomo che è il centro della società, attraverso anche la Dottrina Sociale della Chiesa, che sviluppa i principi fondamentali del cristianesimo in vista di una completa antropologia, quindi di una società degna di una persona umana in tutti i suoi aspetti. E per antropologia intendo i valori fondamentali, i diritti fondamentali come la vita, la morte, la famiglia… La Chiesa ha una sua parola specifica da dire chiara, ferma, seppur naturalmente rispettosa di tutti, a cui non può assolutamente rinunciare per non tradire né il Vangelo né l'uomo». A livello mediatico a volte si ha l'impressione di una Chiesa sotto assedio, cominciando dal farle i conti in tasca: una Chiesa ricca, un potere quasi "parallelo". «Certamente, il concetto di potere parallelo è totalmente inadeguato e infondato. Le risorse che la Chiesa gestisce le ha grazie a tante disponibilità e generosità da parte di molti soggetti, non ultimo naturalmente il sistema dell'8 per mille. Tutto quanto è chiarito, speso e impiegato in quelle che sono le opere di carità e solidarietà evangelica che sono sotto gli occhi di tutti. Se noi pensiamo a ciò che la Chiesa, la comunità cristiana, le diocesi fanno continuamente a vantaggio dei più poveri e delle fasce più deboli, delle fragilità molteplici di ieri e di oggi, penso che nessuno onestamente possa dubitare, possa essere polemico verso l'utilizzo di queste risorse. Pensiamo soltanto se la Chiesa dovesse, non avendo più le possibilità, essere costretta a chiudere le varie istituzioni: dalle scuole agli asili nido, dalle mense che oggi si sono moltiplicate (le mense quotidiane nonchè festive), oppure le Caritas, le aggregazioni, i centri di ascolto, le molteplici iniziative per la famiglia, per le persone handicappate… Se si dovesse per caso ridurre o chiudere sarebbe un gravissimo disagio per le persone, per le fasce più deboli e per l'intera società. C'e qualcosa che la preoccupa, in modo particolare? «Due cose fondamentali: anzitutto la povertà, che vedo anche in questa visita pastorale essere molto diffusa, più di quello che io stesso pensavo. Una povertà, una difficoltà di arrivare alla fine del mese, portata avanti con molta dignità, nel silenzio. Ma le nostre comunità parrocchiali, i nostri sacerdoti che vivono accanto alla gente, condividono i problemi, conoscono queste difficoltà della gente, che non sono conclamate ma sono reali e diffuse, e si cerca di intervenire in molti modi, piccoli e meno piccoli. Quindi questa è la prima preoccupazione che sta nel cuore mio e certamente dei miei confratelli vescovi. E l'altra è la preoccupazione educativa, perché le sfide che oggi si stanno affrontando (e sono molte, a tutti i livelli) richiedono, esigono una educazione della persona integrale, sostanziale, seria. Quindi credo e spero che anche a livello di episcopato potremo fare una riflessione più articolata e più incisiva su questo tema, sollecitando l'attenzione e la responsabilità di tutti i soggetti educativi a cominciare dalla famiglia che è in seria difficoltà anche sotto il profilo educativo (perché è difficile, è una grande missione) e poi la scuola e le nostre comunità e associazioni». L'augurio del presidente della Cei agli italiani per questo Natale. «Che ci sia un aumento di speranza, di fiducia nel guardare al domani. Occorre avere una capacità decisamente maggiore di collaborare insieme, di superare litigiosità particolaristiche a tutti i livelli e in tutti i campi, per condividere il bene dell'Italia, il vero bene della società. Quindi, abbiamo bisogno di un amore più grande per l'Italia, un amore più grande che discenda dalla convinta consapevolezza della bellezza del nostro Paese e delle nostre tradizioni cristiane».

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