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Presidenziali Usa Anche il gossip conta

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Anomala, perché vede come protagonisti, su entrambi i fronti, personaggi di poca o punta esperienza governativa e internazionale. Inquietante, perché seguendo i vari candidati nei dibattiti e nelle interviste si ha le netta impressione che sui grandi problemi tutti navighino a vista, attenti più a non alienarsi gli umori degli elettori che a proporre programmi innovativi. Ma c'è di più: mentre quasi tutti puntano su una vittoria dei democratici, risulta sempre più evidente che i quattro candidati di punta repubblicani, Rudy Giuliani, Mitt Romney, John McCain e Fred Thomson e il semisconosciuto Mike Huckabee, sono nel complesso più solidi e affidabili dei loro rivali Hillary Clinton, Barack Obama e John Edwards, i tre "frontrunner" del partito dell'Asinello. Il peso del fallimento di Gorge W. è tuttavia tale che - chiunque di loro prevalga nelle primarie, farà molta fatica a risalire la china. Visto con l'occhio dei media europei, l'esito della competizione appare abbastanza scontato: l'opinione prevalente è che Hillary, forte di una ben oliata macchina elettorale e del prezioso aiuto del marito, prevarrà nelle primarie democratiche e proseguirà poi la sua corsa fino alla Casa Bianca, diventando la prima presidente donna della storia americana e la prima moglie a succedere al consorte. Viste da New York, le cose non sono così semplici. Il vantaggio della senatrice Clinton nei sondaggi si è sensibilmente ridotto, con tutto ciò, è probabile che finisca con il prevalere sui suoi rivali interni. Tuttavia, la signora Rodham Clinton sta soffrendo di una campagna per la nomination piena di colpi bassi, in cui i suoi rivali fanno a gara per metterne in luce le ambiguità e l'opportunismo. Molti analisti sono perciò ancora dubbiosi sulla sua effettiva "eleggibilità", sia perché è una persona "che divide invece di unire", sia perché una parte non indifferente dell'America profonda potrebbe esitare, in tempi burrascosi come questi, ad affidare il ruolo di "comandante supremo" a una donna. C'è anche un altro handicap: gli Stati più conservatori non hanno probabilmente ancora digerito il modo in cui Hillary affrontò a suo tempo il caso Lewinsky. Proprio su questa vulnerabilità della senatrice di New York fanno conto i candidati del partito repubblicano. Il problema è che tutti hanno i loro bravi scheletri nell'armadio. Giuliani (che è in testa nei sondaggi) può vantare un eccellente palmarès come sindaco di New York, ma ha una vita privata disordinata, posizioni troppo "liberal" su aborto e matrimoni gay e nessuna esperienza internazionale. Di Romney, brillante uomo d'affari e già ottimo governatore del Massachusetts, molti non riescono ad accettare l'appartenenza alla chiesa mormone. McCain, già avversario di Bush nelle primarie del 2000, ha ormai varcato la soglia dei settant'anni. Thomson, noto attore della TV (dove impersona in un serial un procuratore rigido ed efficiente) con una sola legislatura in Senato alle spalle ha accusato più di una battuta a vuoto. Quanto a Huckabee, ex pastore battista e governatore dell'Arkansas, beniamino degli evangelici, ha l'aria di essere una meteora. A votare si comincerà tra tre settimane, nello Iowa. La campagna elettorale vera, candidato democratico contro candidato repubblicano, durerà ben otto mesi, con ricadute non sempre positive sulla politica del Paese.

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