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L'ETÀ BARBARICA, di Denys Arcand, con Marc Labrèche, Diane ...

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Con il film di oggi (più giustamente intitolato nella versione originale "L'âge des ténèbres" sembra idealmente concludere una trilogia socio-culturale iniziata negli Ottanta con "Il Declino dell'Impero Americano" e seguita, dopo l'11 settembre, da "Le Invasioni Barbariche", salutato con un Oscar e con un premio a Cannes. Il suo protagonista, adesso, è un uomo qualunque, Jean-Marc, impiegato a Montréal in un ufficio statale per reclami, trascurato dalla moglie, donna in carriera, che a sua volta trascura, e incapace di averi veri rapporti con i figli, da cui non è minimamente considerato. Soffocato da tutto quel grigio che lo circonda, evade sia nei sogni sia con l'immaginazione, da sveglio. Allora eccolo grande scrittore, divo della televisione, riverito, ricercato, applaudito. Fino al giorno in cui, dopo tanto sognare, anche in cifre erotiche, si imbatte in una donna che, metà immedesimandosi, metà per gioco, si dedica a delle buffe rappresentazioni in cornici medievali dove lui si vede con sconcerto affibbiato l'incarico di abbattere in un torneo cavalleresco un presunto rivale. Quella realtà stravagante che non corrisponde ai suoi stravaganti sogni di gloria, lo riporta con i piedi sulla terra. Lascia l'impiego, lascia la famiglia e si isola, in una casetta in riva al mare che era stata di suo padre. Forse, senza più cedere alla fantasia, troverà finalmente una sua strada. I guasti della società attorno, Arcand li fa intuire accennando alle varie situazioni che inducono la gente a venire a lamentarsi con Jean-Marc nel suo ufficio reclami. Si ascolta di tutto, sino al paradosso (anche se si tratta sempre di situazioni tolte dalle cronache). Le reazioni del protagonista, già ferito in famiglia e nella sua vita d'ogni giorno, sono, appunto quella della fuga: nei sogni, nelle fantasticherie. In cifre che ora privilegiano la commedia, ora in qualche momento, il dramma, ora tentando la via diretta della psicologia: per mostrare (e dimostrare) come finisce per muoversi un pover'uomo in una "età" come questa che, sotto molti aspetti, può proprio indicarsi come avvolta dalle "tenebre". Forse la struttura narrativa, con tanti temi e tante divagazioni, non riesce sempre a tenere nell'equilibrio giusto tutte le sue intenzioni, ma in definitiva sa imporla un clima che, pur quando l'ironia vi domina, soffoca e opprime. Specchio fedele della condizione di quel personaggio al centro. Gli dà volto Marc Labrèche, noto in Quèbec sia al cinema sia in TV.

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