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CIVICO 0, di Francesco Maselli, con Ornella Muti, Massimo ...

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Riconfermando le sue doti quando, passando al lungometraggio, potè realizzare un episodio, "Storia di Caterina", nel film a più mani "Amore in città", ispirato e guidato da Cesare Zavattini. Oggi non abbandona quei climi, con una trovata stilistica che gli consente di darci un film, apertamente definito "documentario", in cui però le tre storie vere alla base le fa recitare da tre noti attori che, ricevendo direttamente il testimone dalle persone chiamate a rappresentare, si trasformano nei loro personaggi: nella loro realtà, nei luoghi stessi dove vengono sorpresi e da cui vengono estratti per ritirarli. Si comincia con una giovane etiope, Stella. Il suo problema, appena giunta a Roma dopo una faticosissima migrazione e un matrimonio con un connazionale, è la casa, come il titolo ci fa intendere con quel numero civico zero, non l'avrà mai, passando da un rifugio all'altro. Con la moltitudine, attorno, dei tanti diseredati che tentano ogni strada per sopravvivere. Segue, sempre ripresa dal vero, e sempre raccontata nella colonna sonora della protagonista, la storia di Nina, una rifugiata rumena senza documenti, che trova sì lavoro, ma in una casa da cui, essendo clandestina, le è impedito di uscire; peggio che da una prigione. Il terzo personaggio, Giuliano, è un fruttivendolo di Roma, l'improvvisa morte della madre lo annienta, gli fa lasciare il lavoro, lo riduce al rango di un barbone. Come casa si accontenterà di un tram. "Recitando", appunto, le tre storie, tre attori, Letizia Sedrik, che è Stella, Ornella Muti che è Nina, Massimo Ranieri che è Giuliano, ma Maselli li tiene sempre agganciati a sapori immediati di cronaca. Operando con sapienza sulle immagini (di Felice De Maria) che però, pur elaborate e non di rado perfino preziose, non si separano un solo istante dal concreto: sia quando si stringono attorno alle tre figure centrali, sia quando ripropongono loro attorno gli ambienti in cui si muovono, sorpresi all'improvviso tra le pieghe di una vita misera e estraniata così spoglia di colori da sembrare spesso ripresa in bianco e nero. Con quel respiro di cose autentiche, rivissute nel loro svolgersi, che ricorda ad ogni momento la grande lezione del documentarismo di Ioris Ivens. Rielaborata però da Maselli

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