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Lo studioso Angelo Boccardelli scopre i misteri dell'arte di Buonarroti nascosti in un crocifisso

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In fondo se lo raffigura così, l'Oggetto: racchiude in sé tutta la sapienza e la perfezione, tanto che lo definisce, senza enfasi tanto è sicuro di azzeccarci, «meraviglia del mondo e bene dell'umanità». Lui è Angelo Boccardelli, poeta, pittore, per 25 anni primo segretario dell'ambasciata in Egitto e Giordania della Repubblica di San Marino, ora presidente della «Fondazione Giacomo Maria Ugolini - Libero Ateneo Internazionale», dove Ugolini è il nome dell'ambasciatore per il quale Boccardelli ha lavorato. E l'Oggetto che cosa è? Quello che Boccardelli ha studiato per oltre un ventennio e che è stato al centro di una serie di conferenze appena tenute oltreoceano, a New York: all'Enit, alla Italy-America Chamber of Commerce, al Rotary. Affollatissime, come usa nella Grande Mela, quando s'annunciano scoperte o discettazioni dal sapore un po' misterioso e un po' esoterico. Perché l'Oggetto è un Crocifisso di legno che Boccardelli - dopo una serie di expertise - conferma essere di Michelangelo e che, dice, «assomma in sé tutti i markers», i segni per elaborare quello che chiama il Codice di Michelangelo. È convinto che Buonarroti lo scolpì in vecchiaia, dopo il 1560. Anzi il piccolo Cristo in croce (poco più di 41 centimetri di lunghezza) potrebbe essere l'ultimo lavoro del Maestro che, come in alcune lettere del 1562 al nipote Leonardo Buonarroti, vorebe fare uno crocifiso di legnio e vorebe che voi li mandasi tuti queli feri che per simile opera ocorano. Boccardelli, ovvio che siano state una bomba negli States le sue dimostrazioni. Troppo ghiotta l'occasione di sentir parlare di un Codice di Michelangelo dopo che tanta polvere ha alzato il Codice da Vinci di Dan Brown. «Solo che quella era una speculazione editoriale bella e buona, questa è una certezza scientifica che voglio dimostrare ovunque, portando in esposizione il Crocifisso in tutto il mondo», dice, sullo sfondo della terrazza di Villa Vecchia, la dimora-hotel di Monte Porzio Catone che è anche la sede italiana della Fondazione Ugolini. Ma questo Croficisso da dove è spuntato? E dov'è ora? «Ventotto anni fa fu ritrovato in Libano, in un monastero di rito greco-melchita cattolico. La stampa diede grande risalto all'avvenimento, tutti i giornali ne parlarono, compreso Il Tempo, che il 17 ottobre 1979 scriveva: "La sorpresa è stata grandissima quando i professori Seno e Braida hanno dichiarato che la statua è opera di Michelangelo"». Ma com'era finito in Libano? «Ce l'aveva portato nell'Ottocento il segretario di Gregorio XVI. Glielo aveva regalato il Pontefice, come dice un documento ritrovato nel monastero: "Ricevette in dono dal Papa oggetti e suppellettili sacre". L'ambasciatore Ugolini, ora scomparso, lo spedì in Italia per farlo esaminare. Vennero eseguite tre perizie. Ora si trova a San Marino, è di proprietà di un privato che lo acquistò da Ugolini. Ma è a disposizione della Fondazione per essere studiato e per un'eventale mostra». Chi ha certificato che si tratta di un'opera di Michelangelo? «È stato studiato presso l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze dal professor Baldini. Disse: "Non si può leggere senza Michelangelo". Poi la doppia attribuzione al Buonarroti, da parte del professor Pfeiffer dell'Università Gregoriana e del professor Guidoni, della Sapienza di Roma. Una casa d'aste svizzera voleva comprarlo, si parlò della cifra di tre milioni di dollari, Ugolini non accettò. E io ho continuato a studiarlo, raffrontando documenti, testimonianze. E indagando sull'intima composizione dell'opera». Per scoprire che cosa? «Che risponde perfettamente al canone della Tetracktys pitagorica, un numero triangolare pari a dieci, raggiunto con la somma 1+2+3+4 e rappresentato da un triangolo diviso in quattro parti uguali. Ma s'adatta anche al codice dell'uomo perfetto di Vitruvio e alla rispondenza individuata dal neopitagorico cardinal Cusano tra la geometria e il corpo di Dio. Il quale, secondo appunto Cusano, "è come

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