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di STEFANO MANNUCCI MENTRE veniva al mondo, i poverelli salivano a conquistare il cielo a cavallo di scope.

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Dovette correre in treno a Roma, e feci in tempo a nascere a Villa Margherita». Ride, Christian. «Fu l'unica fiaba portata sul grande schermo da mio padre. A lui interessava di più raccontare la verità di quell'Italia disastrata, che era stata piacevolmente narcotizzata dai romanzoni rosa con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson. Ora la guerra era finita. "Umberto D." cominciava con uno sciopero dei pensionati: il neorealismo sarebbe ancora attuale. Sono uomini come papà, Paolo Stoppa, o Alberto Rabagliati, a non esistere più. Italiani meravigliosi che rimarrebbero basiti, di fronte a questo sfacelo». Vittorio scrisse un destino da sceneggiatura, per voi fratelli De Sica. «Mamma scoprì di essere incinta di Manuel quando iniziò la lavorazione di "Ladri di biciclette"». Ma nove mesi dopo vostro padre, già sposato, non ebbe il coraggio di dire a sua moglie Giuditta Rissone che aveva avuto un maschio fuori dal matrimonio. «Le disse che era nata una bambina, Manuela. Un trucco con cui si illudeva di non darle un dolore. Era ingenuo, papà. Non si rendeva conto che così avrebbero sofferto tutte e due le famiglie». Era nota la sua complicata vita affettiva: due cenoni di Natale, due Pasque. Si metteva in pigiama, vi dava la buonanotte, e poi andava dagli altri cari. «Oggi il suo comportamento susciterebbe simpatia. Ma lui era nato nel 1901, a quei tempi nessuno si divideva tra due realtà parallele». Finché? «Finchè, quando avevo già 18 anni, Emy ci diede appuntamento a Villa Glori: "eccomi, sono vostra sorella"». E voi? «Corremmo a chiedere a papà perché non ce l'avesse mai detto. Lui sorrise. Era un uomo buono, lo persi quando avevo 23 anni, e l'avrei voluto accanto ancora a lungo». Con il suo lavoro, Vittorio De Sica favorì anche i vostri amori giovanili. «Nel '59 era con Rossellini sul set del "Generale Della Rovere". Non potendo andare in vacanza, noi ragazzi fummo piazzati nella villa di Santa Marinella con Ingrid Bergman. Lì sua figlia Isabella Rossellini divenne una mia fidanzatina. Papà era impensierito da quel mio piccolo flirt. L'ho rivista mesi fa a New York. Una signora meravigliosa». Conobbe anche Totò. «Una sera a cena, negli stabilimenti della Safa Palatino. Mangiava con mio padre, era riservato e triste. Si atteggiava ad aristocratico, sosteneva di essere costretto a camuffarsi da comico. Era uno dei più grandi al mondo, come Stanlio ed Ollio, e più spontaneo di Chaplin, che invece proponeva un umorismo molto calcolato». Sophia Loren? «La prima volta che la vidi ero un bambino. Lei, a 26 anni, era già in grado di affrontare il ruolo della madre nella "Ciociara". Un'attrice fenomenale, capace di virare dal comico al drammatico. Come Sophia non ne nascono più. Con papà aveva un rapporto magico. Non avevano neppure bisogno di concordare le scene. Si capivano con un'occhiata: logico che arrivasse l'Oscar. Io l'ho frequentata poco, ma di recente ci siamo ritrovati per uno spot. Ha attraversato indenne il tempo». Christian, quando recita si affida ancora a papà Vittorio? «Prima di uscire in scena mi faccio il segno della croce e lo prego di proteggere me e mia moglie Silvia. Che è il mio amore da tanti anni, e mi restò sempre vicina quando rischiai di perdere un occhio per colpa di un petardo. Nove interventi chirurgici, ci volle la bravura dell'equipe del Gemelli per salvarmi la vista e la carriera di attore». Dovrà invece mettersi al riparo dalla "competenza" di suo cognato Carlo Verdone, ormai medico honoris causa. «Silvia e Carlo coltivano l'inspiegabile passione per le ricette, le posologie e gli ingredienti dei medicinali. Quando viaggiamo è una Caporetto, valigie e buste dell'immondizia piene di pasticche. Con i controlli sugli aerei è un dramma». A proposito: l'8 aprile al Sistina ci sarà l'ultima replica del fortunatissimo "Parlami di me". «E andiamo in tour: due settimane a Palermo, poi Reggio Calabria, Salerno, Napoli. A quel punto volerò a Los Angeles: mio figlio Brando si laurea in cinemato

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