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«Quella volta che cantai Malafemmina per Bill» La rissa con i fotografi? Dovevo difendere Anna

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Era il 1999 quando Gigi D'Alessio si trovò a suonare al Galà della potente comunità italo-americana. Indovinate un po' chi era l'ospite d'onore quella sera a Washington? «In quei giorni infuriava il caso Monica Lewinsky...». E? «E io pensai che il presidente degli Stati Uniti avrebbe apprezzato la mia dedica. "Malafemmina"». Clinton come la prese? «Sorrise e mi invitò a eseguirla: "Yes, please"». D'Alessio, che fegato! Invece come andò con Berlusconi? «Una cena scherzosa di cinque anni fa è diventata un caso politico. Lui mi propose di scrivere qualche canzone insieme». Si è fatto fregare da Apicella. «La cosa non ha avuto seguito. Il problema è che io i testi me li compongo da solo». Però il sodalizio con Merola è durato a lungo. Lei era il pianista del Re della sceneggiata. «Nel '92 Mario mise sul campo 35 anni di carriera per interpretare con me "Cient'anne". Nacqui come cantante in quel momento. Poi il nostro rapporto è diventato più umano che artistico. Ci sentivamo tutti i giorni, ma appartenevamo a due mondi diversi. Non puoi amalgamare Bob Marley e Pavarotti». Tra i due lei era? «Marley». Chissà quanti ricordi insieme. «Una volta uscivamo da un concerto al San Carlo, e un pullman di turisti lapponi si ferma. Tutti volevano la foto con Merola: era popolare anche nelle zone più remote del mondo. Un giorno mi fece vedere un suo film doppiato in non so quale lingua africana». Sei anni fa, invece, l'incontro con la Loren, che poi omaggiò con la canzone "Donna Sofì". «A Gallipoli, era la serata per il Premio Barocco. Mi feci assegnare il camerino accanto al suo. Volevo farmi una foto con lei, ma ero intimidito. Bussai alla porta, Sophia mi aprì e con un sorriso radioso mi disse: "Quanto sì bello! Canto sempre tutte le tue canzoni! Restai abbagliato, non vidi il suo amico seduto lì a fianco». Chi era? «Gerard Depardieu». Quando si dice la confusione. «La convinsi a duettare su "Reginella", le strappai un bacio di grande amicizia. Mi manda sempre gli auguri di Natale». Con Pino Daniele niente feeling, invece. «La cosa strana è che io e lui siamo nati a venti metri di distanza, dietro a Santa Chiara, e nonostante i nostri padri fossero grandi amici, non ho mai avuto occasione di conoscere Pino. Sono sicuro che se una sera venisse a casa mia e mi sedessi la pianoforte, parleremmo serenamente di musica, ci intenderemmo». Daniele dice: l'unico napoletano che conosco è Nino D'Angelo. «Questo atteggiamento rende piccoli i napoletani. I bolognesi vanno d'accordo. Se Dalla fa un concerto alle Tremiti, Morandi ci va di corsa. Se Baglioni organizza il suo festival a Lampedusa, gli artisti partecipano gratis. A Napoli sempre dualismi, dai tempi di Pino Mauro contro Sergio Bruni, o di Carmelo Zappulla e Nino D'Angelo. Daniele non parla bene di me perché vorrebbe essere il numero uno della stessa casa discografica. Non sa che i suoi dischi possono essere stampati grazie alla vendita dei miei. Il successo lo decreta il pubblico, e lui non dovrebbe considerarmi immondizia. Pino è stato un grandissimo, ora è un grande». Perché il personaggio Gigi D'Alessio dà fastidio? «Non lo so. Forse è per il mio nome e cognome. Sono bersaglio di tanti pregiudizi, perché non sono un prodotto imposto dalla stampa. In Italia non viene tollerato il successo, ma, se è così, perché Vasco, che è mille volte più popolare di me, non soffre di questa ostilità?». Già. Perché? «Il problema è la mia semplicità. Oggi essere normali è un plus. Ma il pubblico è intelligente, e sa distinguere un artista vero da uno falso. Così vado avanti per la mia strada. Ai concerti tutti urlano in coro anche i pezzi mai pubblicati». Il suo ultimo cd "Made in Italy" ha già venduto 250mila copie. Ora è alle prese con il suo quinto tour mondiale. Domani e sabato due serate da tutto esaurito al Palalottomatica di Roma. Quanti volti, lungo la strada? «Ci sono genitori che mi fanno fare autografi per i loro figli morti, altri che mettono i miei cd nelle bare». Ricordi più lieti? «Due anni fa mi chiama Ramaz

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