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Nel monologo «Il Campo della Gloria»

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Roberto Citran racconta la realtà dei lager vissuta da Varini, ex deportato di Dachau

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Autori del testo teatrale sono Francesco Niccolini e Citran stesso, che lo interpreta anche sulle scene, dopo essersi liberamente ispirato al libro di Franco Varini, "Un numero un uomo". Storia autobiogafica di un ottantenne che visse dal luglio del 1944 all'aprile del 1945, quando aveva solo 18 anni, la tragica esperienza dei campi di concentramento e fu deportato a Dachau. Roberto Citran, perché ha scelto proprio il testo di Varini da raccontare e rappresentare in teatro? «Circa due anni fa avevo partecipato alla celebrazione della Giornata della Memoria alla Fondazione ex Campo Fossoli. Un importante campo italiano di smistamento, che raccoglieva deportati, tra ebrei, prigionieri politici, zingari e omosessuali, per poi metterli su un treno e spedirli a Dachau o a Auschwitz. Da Fossoli sono passate tante persone deportate, compreso Primo Levi. Quel giorno, partecipando a quella commemorazione alla presenza del politico di turno, mi sembrava che la Giornata della Memoria fosse ridotta a una sorta di routine, celebrativa che la privava di qualsiasi spessore spirituale. Allora, pensai di renderla più viva con una rappresentazione teatrale che comunicasse maggiore coinvolgimento emotivo, soprattutto ai giovani che non conoscono quella terrificante realtà storica. L'idea piacque alla Fondazione ex Campo Fossoli e così scelsi il testo di Varini. Un uomo che ancora adesso, ogni anno, organizza incontri e viaggi per studenti ad Auschwitz: è un uomo che tuttora sprigiona una grande energia, un intenso amore per la vita e la libertà». Qual è la vera storia di Franco Varini? «Nel 1944 Varini era un ragazzo di 18 anni: era, sì, un partigiano, ma più per un gioco giovanile che per reale e maturata convinzione. E per fare una bravata, rubò con un amico delle armi da una caserma abbandonata e le nascose in casa. Quando venne trovato morto un carabiniere scattò contro di lui l'accusa di omicidio. Venne arrestato, torturato per due giorni consecutivi e quando il sergente fascista delle Brigate Nere, in seguito a un confronto all'americana, capì che non era lui il colpevole, ordinò la sua deportazione a Fossoli, l'anticamera dei campi di concentramento. Da lì, dopo qualche altra tappa in orribili lager, Varini finì a Dachau, dove la gente moriva di fame e di freddo, ma Varini riuscì a lavorare al coperto e si salvò. Si salvò miracolosamente anche dalla fucilazione dei tedeschi. Gli americani lo ritrovarono che pesava 33 chili. Eppure, non perse mai la voglia di vivere e di lottare contro gli orrori umani». È questo il messaggio che con il suo spettacolo vuole offrire oggi ai giovani? «Sì, soprattutto a quei ragazzi addomesticati dal benessere. Vedere un ottantenne in forma splendida che ha voglia di credere nella libertà può riempire quei vuoti e quelle fragilità che i giovani, iperprotetti dalle famiglie, manifestano oggi». Quali saranno i suoi progetti, una volta finito il tour? «Spero di aumentare le repliche e di portare il mio monologo nei teatri di tutta Italia. Intanto, a marzo, andrà in onda su Raiuno la fiction "Medicina generale" dove, accanto a Nicole Grimaudo, vesto i panni di un primario. In primavera, dovrebbero poi uscire due film nei quali ho lavorato: "Notturno bus" di Davide Marengo, con Giovanna Mezzogiorno e "Lezioni di volo" di Francesca Archibugi, sempre con la Mezzogiorno e poi con Angela Finocchiaro e Anna Galiena».

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