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Il gentleman del palcoscenico

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L'attore calabrese si è spento ieri nella clinica «San Valentino» di Roma dove era ricoverato e i funerali si svolgeranno oggi alle ore 11 nella Parrocchia di Stella Mattutina alla Balduina. Riservato e tuttavia naturalmente coinvolgente nella vita, anticonvenzionale ed eclettico sulla scena, era una persona speciale prima ancora che un encomiabile artista. Da qualche anno aveva deciso di abbandonare il teatro per ritirarsi nella rassicurante quiete della sua meravigliosa casa romana, accanto alla devota e generosa compagna Giuliana Lojodice. Nel 2005 il Comune di Roma aveva organizzato una mostra retrospettiva dei suoi sessant'anni di carriera dal titolo emblematico «Aroldo Tieri. Una vita per lo spettacolo» e al gradito omaggio aveva reagito con compostezza, dissimulando la sincera commozione. Intervistarlo in quella, come in altre occasioni, era un tuffo entusiasmante in un mondo teatrale in via di estinzione, in una dimensione professionale e umana ormai purtroppo perduta eppure così viva nei suoi ricordi da sembrare palpitante di contagiosa energia creativa. Figlio del drammaturgo, critico teatrale e regista Vincenzo, era nato a Corigliano il 28 agosto del 1917. Fin da ragazzo aveva dimostrato un carattere determinato, rifiutandosi di entrare nella compagnia di Ruggeri per il timore di imitarlo e preferendo frequentare l'Accademia «Silvio d'Amico», dove si diplomò nel 1937. «L'aria del teatro l'ho respirata fin da bambino grazie a mio padre» amava raccontare. «Al saggio finale dell'Accademia venne Renato Simoni che cercava un ragazzo per Malatestino nella "Francesca da Rimini" di D'Annunzio di cui curava la regia. Quel ruolo era interpretato di solito da attrici donne in pantaloni corti. Fui scelto e ne offersi una mia interpretazione inconsueta di giovane buonissimo toccato dall'amore per la cognata. Era il 1938 e già avevo lavorato al Teatro Argentina addirittura davanti a Mussolini». «Poi mi scritturò Torraca per l'Eliseo e dopo venne il cinema in cui mi assegnavano sempre la parte del geloso. Solo con Totò ho girato tredici film». Passando con disinvoltura da Shakespeare a Dostoevskij, nel dopoguerra si confrontò con il repertorio contemporaneo da Pirandello a Salacrou, ma fu ne «La rabbia del cuore» di Vandenberghe che si distinse per le sottili sfumature emotive della sua interpretazione di un adolescente psicopatico. Nel 1952 formò compagnia con Carlo Ninchi e Olga Villi, fra il 1953 e il 1955 lavorò a lungo con Squarzina e nel decennio successivo si impegnò per il grande e il piccolo schermo. Debuttò nella prosa televisiva nel 1957 con «La foresta pietrificata» di Sherwood ed è rimasto nella mente del pubblico per lo sceneggiato «Le avventure di Nicola Nickleby», dal romanzo di Dickens, e come conduttore di «Canzonissima» per l'edizione 1960-61. Dal 1965 ha iniziato il suo sodalizio privato e artistico con Giuliana Lojodice e sapeva ricostruire il loro primo incontro con la trepidazione di un ragazzo alle prime esperienze amorose: «La vidi per la prima volta nel 1960 in un ascensore di via Teulada dove giravamo per la televisione in piani diversi. Aveva un paio di sandali e mi complimentai per i suoi piedi. Ci ritrovammo a Siracusa per "Antigone" con la regia di Ferrero. Da allora non ci siamo più separati». «Per conquistarla non le dissi: "Ti amo", ma "Provo una piacevole inquietudine". Abbiamo recitato insieme per quarant'nni, scegliendo sempre testi rischiosi e fuori dalla programmazione ordinaria». La fertile sinergia della coppia ha raggiunto il culmine con «Un marito» di Svevo nella stagione 1983-84 con cui Tieri si è aggiudicato il Premio Armando Curcio per il Teatro. «La mia caratteristica è sempre stata la volontà di scombussolare i testi e di proporre ai registi una lettura del personaggio diversa dalla tradizione», così definiva la specificità del suo rapporto con i copioni. «Cercavo sempre di analizzare le battute per comprendere i significati profondi comun

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