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I film di Natale incassano «E la sinistra è classista»

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Un genere popolare che incuriosisce un po' tutti e sul quale proprio quest'anno più di un regista e di un produttore ha rivendicato il diritto di primogenitura. A cominciare da Aurelio De Laurentiis, per proseguire con i fratelli Vanzina e fino all'esuberante Vittorio Cecchi Gori. «Sono io che ho inventato in realtà il "cinepanettone": era il 1984, s'intitolava "Vacanze in America", c'era Christian De Sica con Jerry Calà e la Fenech ed era diretto dai Vanzina - sottolinea Cecchi Gori -. Certo, senza entrare nella polemica politica, di sicuro non è quello il cinema che piace a me, io preferisco i film di guerra. Quello dei "cinepanettoni" è un surrogato del cinema vero, ed è un fenomeno popolare che piace agli italiani, soprattutto negli ultimi anni». Entra invece nel cuore della polemica politica scatenata dalla sinistra sui film di Natale, il regista Pasquale Squitieri: «Roberto Rossellini diceva che grazie al cinema commerciale può essere finanziato il cinema d'autore. Film come quelli di Antonioni, Bellocchio o Fellini, sono stati sostenuti con gli incassi che facevano al botteghino le pellicole di Totò, di Franco e Ciccio, di Macario e di Sordi. Definendo "denigratorio" un genere popolare qual è il "cinepanettone", la sinistra si rivela classista e zdanovista: l'Unione vuole solo un cinema di regime. Vuole una cultura di regime e la prima ad essere discriminatoria è proprio la politica dell'Unione. Tra l'altro, dopo aver realizzato la Festa del Cinema di Roma, credo proprio che la sinistra non abbia più diritto alla parola: non c'è festival più popolare e populista di quello. Quando scandivano il termine denigratorio, forse, si riferivano ai film di Nanni Moretti, che è sempre stato sopravvalutato, ma è ora di farlo ragionare quel ragazzo: è lui che fa dei film fascisti, come "Io sono un autarchico", dal quale emerge il suo odio verso i giovani - sottolinea Squitieri -. Il cinema vero ha tanti generi, dal noir al poliziesco, fino ai film sulla camorra o sulla mafia, e noi abbiamo insegnato al mondo come farli. Ci sono diversi livelli di pubblico, come in teatro o nella musica: si va a vedere Shakespeare come Ibsen o Scarpetta. Si può ascoltare Mario Merola come Riccardo Muti: tutti e due hanno plateee diverse ed entrambi i generi sono rispettabilissimi. I cinespettatori che vanno a vedere "Il nome della Rosa", tratto dal libro di Eco, e quelli che vanno a vedere i film dei Vanzina sono certamente diversi, ma assolutamente rispettabili. L'elemento che li differenzia è il tipo di pubblico e la tecnica del linguaggio. D'altra parte se troviamo rispettabile uno spettacolo stupido e visto da 22 milioni di persone come quello di decine di uomini in mutande che tirano calci a un pallone, perché offendere un prodotto popolare come il "cinepanettone"? In realtà, più che di film si tratta di occasioni per uscire, quasi si andasse a una "festa de' noantri", dove ci si diverte e ci si svaga. Quello su cui occorre invece riflettere seriamente è il passaggio dal cinema tradizionale a quello digitale ed è stato "Blade Runner" a segnare questo mutamento. Il linguaggio del digitale consente a un regista di fare ciò che vuole con l'immagine e di costruirla esattamente così come la immagina. Il cinema digitale farà scomparire l'attore che tornerà nel suo habitat migliore, il teatro». Più diplomatico nelle sue riflessioni, l'attore Giancarlo Giannini, che proprio nei prossimi giorni apparirà nell'ultimo film di 007, "Casino Royale" e che, nella sua ricca carriera, è stato presente in tantissimi film popolari: da quelli in cui è stato diretto da Lina Wertmuller fino a "Sessomatto" di Dino Risi e a "Paolo il caldo" di Marco Vicario. «Ma quella era tutto un altro tipo di comicità. De Sica e Boldi sono due miei carissimi amici. De Sica è un attore straordinario e sono bravissimi a rappresentare quel tipo di farsa. Io però non vado al cinema a vederli, nè potrei mai interpretare un ge

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