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All'anteprima romana l'omaggio del presidente Giorgio Napolitano al grande maestro toscano

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Così, è apparso ieri il maestro della commedia all'italiana, Mario Monicelli, per presentare il suo ultimo film, il 65esimo per l'esattezza: "Le rose del deserto", prodotto da Luna Rossa, sceneggiato da Domenico Saverni con Alessandro Bencivenni e da venerdì distribuito da Mikado in 230 copie. La storia ispirata al romanzo "Il deserto della Libia" di Mario Tobino e al racconto "Il soldato Sanna" di Giancarlo Fusco, narra le vicende del Terzo Reparto della Trentunesima Sanità, accampato a Sorman, sperduta oasi del deserto libico. Lì, soldati e ufficiali sono sicuri che vi resteranno per poco tempo, un mese al massimo. Presto sarà conquistata Alessandria d'Egitto e torneranno tutti in patria. Intanto, il maggiore Strucci (Alessandro Haber) ha come principale occupazione di scrivere alla sua amatissima moglie; il giovane tenente medico Salvi (Giorgio Pasotti) è affascinato dalla bellezza dell'araba Aisha (Moran Atias); e fra' Simone (uno straordinario Michele Placido) è un prete italiano che si prodiga nel prestare aiuto alla popolazione locale. Il campo ha ben poco di marziale e tutto scorre in un clima indolente, quasi fosse una breve vacanza. Ma le sorti della guerra si rovesciano drasticamente in Africa settentrionale e l'illusione di una vittoria lampo si trasforma, sotto la pressione degli inglesi, in una fuga rovinosa dal confine egiziano. Quello che sembrava un campo di vacanza, viene invaso da una frotta di soldati che cercano scampo su mezzi di fortuna. La Sezione Sanità si trova per la prima volta a contatto con la guerra vera. Tuttavia, proprio quando le sorti dell'esercito italiano sembrano compromesse, giunge insperato l'aiuto tedesco: la notte del 12 febbraio 1941 nel porto di Tripoli sbarcano i soldati di Rommel. Non basterà però l'astuzia della "volpe del deserto" per ripristinare un esito fortunato e, alla fine, le vicende altanelanti della guerra volgeranno comunque a favore degli inglesi. La piccola colonna della Trentunesima Sezione Sanità affronta una marcia disperata da Tobruk a Bengasi, tra campi minati, razzie, dolori e perdite. «Non c'è nulla di romantico nel deserto, nemmeno in tempi di pace - ha raccontato Monicelli, tornato al grande cinema dopo circa otto anni di assenza -. Non ci sono dune rosa, ma solo sabbiaccia sporca e palme rinsecchite. Gli italiani non sono cambiati da quelli degli anni Quaranta, anzi sono peggiorati. Chi ci guida vuole solo renderci uomini economici e non persone che cercano di costruire e vivere rapporti veri tra loro. Gli uomini di oggi parlano delle donne allo stesso modo dei soldati che descrivo in Libia. Il maschilismo tipico del fascismo, nella sua voglia di sopraffazione, si è mantenuto identico. Questo mio film è un po' una farsa, tra ironia, dramma, cinismo e mescolanza dei dialetti della nostra penisola. È una commedia ironica, con tratti amari e a volte drammatici. Insomma, la solita commedia all'italiana che non ho certo inventato io. Quest'ultima guerra, che abbiamo perso come tutte le altre, credo si sia raccontata poco. Poi, mi sono commosso leggendo Tobino, che era anche un mio grande amico. Sono stato in Libia come assistente alla regia e lì ho avuto le mie esperienze di guerra in Africa. Certo, la produzione non è stata una cosa che si messa in piedi facilmente. Ma il temine disperato non esiste nel mio vocabolario. E poi cosa m'importava fare o non fare questo film? Ne avevo fatti già 64. Tra l'altro, non è stato facile nemmeno trovare attori credibili: arrivavano tutti ragazzi belli, alti e palestrati, mentre noi italiani negli anni '40 eravamo piccoli e con le gambe storte. Il personaggio della storia al quale mi sento più legato è quello del frate, interpretato da Michele Placido. Anche se non credo in Dio, ciò che mi piace di queste persone, sempre pronte ad aiutare gli altri, è i

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