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di MARIO BERNARDI GUARDI LA SICILIA te la figuri così carica di luce che quasi ti acceca e invece Giuseppe ...

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107,euro 9), te la serve in un impasto bianco e nero, con spruzzi rosso-sangue, che incupiscono il cuore di tenebra mafiosa. Eppure, se ogni tanto ti par d'essere precipitato in un "hard-boliled" mediterraneo, con il "biondino" Giuseppe, giovane cronista dell'"Ora", che si fa le ossa tra "malacarne" e mattanze, non puoi fare a meno di pensare che qui dentro c'è anche Pirandello, ghignante sulfureo dinnanzi all'umano troppo umano, e cioè, ovviamente, al disumano, di vita, morte e dintorni. Giuseppe Sottile lavora al "Foglio": è responsabile dell'inserto culturale del sabato. Lontana di quarant'anni la Palermo della sua iniziazione. Ma il "romanzino"- lui lo chiama così,coccolandoselo - è tempo ritrovato, perché ben conservato in archivio. Cronache, appunti, documenti: materia viva. Ora sanguinante, ora di pallore cadaverico. Compresi ghirigori barocchi e paradossi. Ma Sottile, venuto da un paesino, figlio di famiglia (povera), studente in filosofia, grazie a quella Palermo così irriverente, funebre e funesta, è cresciuto. Accidentate sequenze di un romanzo (anzi, di un "romanzino") di formazione. Giuseppe per pagarsi gli studi lavora al mercato:pesa le casse di frutta che i "piedincretati" portano dalla campagna. Il suo stand è il 24, quello dei fratelli Gangi, che gli vogliono bene e lo chiamano "'u dutturiddu", il dottorino. I Gangi sono "brave persone": infatti, finiscono morti ammazzati nella guerra di mafia. Il lavoro va avanti dalle due di notte alle cinque del mattino, "quando da via Montepellegrino avvistavi già l'aurora che fiammeggiava sull'Acquasanta fino a Maredolce e capo Zafferano". Che faccio a quest'ora?, si chiede Giuseppe. Vado a dormire? O "integro" con un altro lavoro? Provvida, la fortuna gli fa conoscere un ragazzone che sta curando un'inchiesta "sulle infiltrazioni mafiose" al mercato ortofrutticolo. Si chiama Salvo Licata: vieni a trovarmi all'"Ora", gli dice. Alba del 5 novembre 1967: il battesimo dell'"Ora" ha il sapore del caffè offertogli in un bar dove i giornalisti incontrano i "casciamorti", «cioè i ragazzi delle pompe funebri venuti a consegnare le necrologie da pubblicare sul giornale». Bisogna abituarsi all'odore della morte. «A catturare con gli occhi il respiro marcio della città», mi dice Sottile. Bisogna abituarsi all'odore della mafia. Beffardo e implacabile, Sottile liquida i sociologi e i loro ponderosi saggi. «La mafia non è la muffa sociologica, non è la retorica dei "professionisti dell'antimafia", non è la caricatura di Camilleri. Va cercata nella convivenza piuttosto che nella complicità, in un'aria diffusa, in umori antichi che sono diventati un modo di ragionare e di esprimersi. Le modulazioni di un linguaggio. Giochi di parole inafferrabili, allusioni sottili, minacce sibilate». Un complesso,accidentato territorio, la mafia. E "L'Ora" è un fortino in stato d'assedio. Un fortino comunista, perché il giornale è finanziato dal PCI e al Partito deve rispondere. Però, ogni collaboratore ha la sua idea del comunismo, e, se è bravo, il suo pezzo di autonomia lo può rivendicare. A costo di farsi venire l'ulcera. Il direttore, Vittorio Nisticò la combatte ingoiando bicchieroni di latte. Giuseppe, il "paisanuzzu", si guarda intorno. "L'Ora" è una galleria di personaggi. C'è Salvo Licata, con la sua passione per il teatro: e la "Palermo nera" è un grande teatro, a partire dai "casciamorti" i cui racconti sono "copioni irripetibili". C'è il terribile capocronista Maio Farinella che, con la sua penna caricata a inchiostro verde, quando gli presentano un pezzo, «lo impiastrella con aggiunte, cancellazioni, note a margine». Cambiando i verbi e accanendosi contro gli aggettivi. C'è Alberto Perrone, il primo cronista di nera, che tutti chiamano il maestro, e che ha un bel gruzzolo di carabinieri, infermieri, confidenti, che lo informano sui "patapum", cioè le sparatorie, gli accoltellamenti, le risse dove ci sono morti e feriti. C'è il grande amico di Giuseppe, il fotografo Gigi Labbruzzo, soprannominato "u chiuviddu", il chiod

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