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Lo scrittore americano parla del suo nuovo romanzo «Good Life»

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427, 18 euro). Una vicenda dai sentimenti forti e profondi: sullo sfondo della tragedia dell'11 settembre, l'incontro occasionale fra Luke e Corrine si trasforma in una storia d'amore difficile ma intensa. McInerney, crede che la lotta al terrorismo induca a possibili tragedie peggiori di quelle finora vissute? «Sì, pur non avendo capacità di intravedere il futuro, da newyorkese mi sono sempre detto che, considerata la densità della popolazione e la verticalità della città, sarebbe stato facile seminare caos e distruzione, e ancora oggi mi soprende che non vi sia stato nulla di peggiore. Già da anni provo un senso di vulnerabilità, e ho l'impressione che non abbiamo ancora visto il peggio». Crede davvero nell'amore? «La mia storia nasce semplicemente dall'osservazione della realtà newyorkese, c'è qualche elemento autobiografico, ma è codificato. Io personalmente, dopo l'11 settembre, ho dato il mio contributo lavorando in una cucina da campo ma lì non ho incontrato nessuno di cui mi sia innamorato, come succede nel mio romanzo. Dopo un momento di incertezza, tanti newyorkesi hanno cominciato a risanare i loro rapporti, cercavano disperatamente il contatto umano, l'amore e se non l'amore, il sesso. Sono tante le persone che, dopo l'attentato, si sono lanciate in avventure puramente sessuali con molta facilità. Qualche critico ha scritto deluso, che si aspettava da me un libro più politico, ma il mio obiettivo era concentrarmi unicamente sull'impatto emotivo che la tragedia ha avuto sui cittadini». Non è forse vero che per essere capaci d'amare sia necessaria una buona educazione? «Sì, e a me non manca quella capacità, ma il concetto di amore romantico è abbastanza recente. Il romantico, che in fondo sono, ha difficolta nel credere si possa vivere senza. Il desiderio d'amore è uno dei pochi esempi di esperienza universale. Questo spiega perché è l'argomento principale della nostra tradizione letteraria, ma spesso i nostri desideri volgono in tragedia». Chi sono i Suoi numi tutelari? «Forse Petrarca. Poi Graham Greene, l'Hemingway dell'"Addio alle armi", il Tolstoj dell'"Anna Karenina", la Austen di "Orgoglio e pregiudizio", e la lista potrebbe continuare». Cosa consiglierebbe di fare, e di non fare, a un giovane che voglia andare a New York? «L''estate sta finendo, e questo è un momento splendido da vivere anche per le storie romantiche. Le coppie ricche sono tornate da poco in città, dopo le vacanze, ma questa è ancora piena di single giovani con pochi abiti addosso. Grande sensualità e grande sessualità a New York, almeno finché il vero autunno non avrà preso il sopravvento. È il momento più intenso di qualunque altro periodo dell'anno. È un'ottima stagione per corteggiare. Io consiglierei caldamente di andarci». Quando ha deciso di dedicarsi alla letteratura? «Successe quando il mio insegnante di letteratura inglese nelle superiori mi fece conoscere la poesia di Dylan Thomas: romantica, dal linguaggio barocco. I suoi versi sono un'effusione ubriaca del linguaggio. Ma oltre a questo mi piaceva anche l'immagine del poeta, Thomas appariva come uno che beveva e andava dietro le donne, perfetto!». Di cosa si occupa McInerney quando non scrive? «Dedico il maggior tempo libero ai miei due figli. Cerco l'amore. Amo viaggiare, tantissimo mangiare, bere, sciare, giocare a tennis».

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