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La penna e il coraggio

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Quegli autori perseguitati dai «barbari»

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Perciò io penso che nessuno l'ha detto meglio di Dante: "Libertà va cercando, ch'è sì cara - come sa chi per lei vita rifiuta"». La vita l'ha sempre amata, Mahfuz; e lo si capisce leggendo le sue pagine migliori, come "Il palazzo dei desideri" e "La via dello zucchero". Ma non è stata sempre zuccherina la sua esistenza, tant'è vero che più volte i tagliagola dell'Islam hanno tentato di ucciderlo. E non riuscendoci, a dispetto dei piani ben calcolati, l'hanno condannato a morte in contumacia. L'ordine degli integralisti diceva: «Togliete di mezzo questo abietto traditore dell'unica vera religione, il blasfemo denigratore di Allah». Eppure sua madre gliel'aveva raccomandato, dai giorni in cui Nagib frequentava il liceo del Cairo: «Fai qualunque mestiere, ma non lo scrittore o il giornalista. In questa parte del mondo nessuno può dire ciò che pensa. Meglio dunque la toga dell'avvocato o il camice del chirurgo: si guadagna bene senza rischiare». Ma il giovane Nagib scrollava le spalle, e con la sua naturs anticonformista si faceva beffe della prudenza materna. I primi scritti "blasfemi", secondo le autorità egiziane, li scrive su un giornaletto clandestino che si stampa in uno scantinato della facoltà di Filosofia. Un suo breve articolo così comincia: "Ma cos'è la vita senza rischio? A che serve la parola se non a combattere ignoranza e schiavitù?". Ora che ha chiuso la sua umana avventura, tutti fingono di rimpiangerlo al Cairo e nei paesi limitrofi, compresi i governi e i partiti che in vita lo hanno perseguitato. Ma non bisogna credere a una sola parola, a un solo lamento che sale da quei "sepolcri imbiancati". In qualche misura gli integralisti del Cairo, insieme ai loro fratelli mussulmani di Damasco, Beirut e Teheran, festeggiano la sua morte. È una penna critica che si spezza, un rompiscatole che si toglie di mezzo e lascia libero il campo alla cultura della sharia. D'altra parte è ingenuo meravigliarsi che ci siano sempre nuovi barbari alla frontiera. Immanuele Kant diceva che l'uomo è un legno storto; e ancora non s'è trovato il mezzo per aggiustarlo. Come non si è riusciti a raddrizzare le banane e le gambe ai cani. È anche vero che Mahfuz non era un combattente solitario. Molti altri sono stati angariati o torturati per il suo stesso amore del libero pensiero. Basti pensare ai russi Pasternak, Bulgakov, Solgenitsin; o ai giovani scrittori e reporter che languono nelle prigioni iraniane. Né se la passano meglio gli ex amici di Castro, che al tempo della revolution credevano di combattere con Fidel per una Cuba libera. Di quel sogno è rimasto un drink che si beve all'Avana; "Cuba libre". Sono millenni che l'uomo libero se la passa male: questo bipede pazzo che si illude di poter dire ciò che pensa, e magari scriverlo sulle pagine dei giornali. Dante ha pagato lo sfizio di togliersi qualche sassolino dalle scarpe, condannando papi e re nel suo Inferno; ma s'è dovuto allontanare dall'amata Firenze in piena notte. E diventò così uno dei tanti "ghibellin fuggiaschi". Ciò che francamente non si riesce a capire è lo scarso apprezzamento di certi uomini politici per i paesi liberi in cui hanno la fortuna di vivere e prosperare. Un piccolo esempio per gente come Diliberto, Giordano, Caruso e compagnia cantando. A sentire i loro sermoni, i paradisi terrestri si trovano nei paesi dove comandano i "dittatori buoni". Perciò mandano messaggi di amore e di considerazione al ferreo Chàvez o allo schizofrenico Castro. «Ma è gente pericolosa e crudele» cerchi di metterli in guardia: «Le loro carceri sono zeppe di contestatori, i loro giornali addomesticati dalla censura...». A queste obiezioni i nostalgici di Papà Stalin replicano: «Forse è vero, ma i bambini delle scuole hanno i libri gratis!». Ineccepibile: ma quale storia è narrata in quei libri, quanta libertà ha l'uomo della strada, e quale verità è proclamata ogni

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