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La sbronza assassina di Hollywood

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Una maledizione perseguita le star: l'alcolismo. Oggi Mel Gibson, ieri Buster Keaton

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Spencer Tracy comprava Jack Daniel's a casse da 12 bottiglie; Ava Gardner tracannava birra e bourbon; Mel Gibson, invece, l'abbiamo scoperto pochi giorni fa, ama una inedita mistura di tequila e bourbon: la polizia ha trovato giusto due bottiglie di questi liquori (del primo vuota, del secondo smezzata), nella sua auto. L'unione tra Hollywood e l'alcolismo sembra una maledizione. Nella patria del denaro, dell'agiatezza, dello sfarzo, tra le colline di Beverly Hills, i liquori scorrono a fiumi, bruciando fegati e cervelli. Da quando è nato, il mondo delle star, si è trovato inzuppato in una orrida palude di whisky, gin, vodka, cognac, brandy, rhum... A Errol Flynn, che iniziava a bere ininterrottamente dalla mattina, fu vietato per contratto di portare alcolici sul set. Non si scompose e, per soldi, accettò la clausola. La mattina presto, a casa, riempiva di vodka delle arance con una grossa siringa, poi le mangiava avidamente tra un ciak e l'altro. Quando venne trovato morto per un attacco di cuore sullo yacht che era divenuto la sua casa, nell'ottobre del '59, Flynn era cinquantenne, ma il suo corpo sembrava quello di un vecchio decrepito. Gli stravizi, a cui si era sottoposto, furono la causa di questo decadimento fisico. Alla sua seconda moglie aveva detto: «Voglio fare esperienza di ogni cosa nella vita». Il decano di tutti gli alcolisti di Hollywood, se non altro per motivi anagrafici, è probabilmente Buster Keaton. Uno dei geni e dei padri fondatori del cinema rovinato dalla bottiglia. Il suo rapporto con l'alcol era abbastanza disinvolto. Chi lo conosceva affermava, un po' scherzando, un po' sul serio, che spesso si riempiva il primo bicchiere molto tardi, perfino alle tre del pomeriggio. I maligni però dicevano che la vera maledizione di «faccia di pietra» furono le mogli e non il bere. Effettivamente Natalie Talmadge, la prima consorte, un'attricetta di scarso rilievo, lo costringeva a mantenere un tono di vita da sultano. Era un vero bonzo della cinematografia, felice solo sul set fuori dal quale, di solito, si trovava solo a dormire e a consumare frugalissimi pasti. E proprio a lui toccò finanziare una faraonica villa che la moglie riempiva di mobili, suppellettili e oggetti costosissimi. Inoltre gli mise contro i figli e un bel giorno, candidamente, gli comunicò, come se fosse la cosa più naturale del mondo, che non voleva più avere rapporti (anche sessuali) con lui se non il semplice «io compro, tu paghi». Buster, che aveva il vizietto del bicchiere dai tempi delle comiche e delle festicciole con il suo amico Roscoe «Fatty» Arbuckle, cominciò a coltivare questo suo lato oscuro nel quale precipitò definitivamente quando, sposatosi per la seconda volta, si ritrovò con una nuova donna e, più o meno, i vecchi problemi. In molti si sono chiesti il perché di questa forza autodistruttiva che travolgeva i primi divi americani della celluloide. Qualcuno ha chiamato in causa l'eccessivo benessere, altri il troppo veloce arricchimento. Analisti più raffinati affermano che un torbido edonismo e l'amore smodato di se stessi sono componenti quasi obbligatorie nella personalità di chi fa l'attore e questo, inevitabilmente, porta, specialmente con l'età, ad un orrore per la vecchiaia che si risolve in una spinta obnubilante e autodistruttiva. Un po' come un non voler permettere al tempo e alla natura di distruggere quella bellezza che si adora, andando a finire che si preferisce distruggersi da soli. Con l'alcol. Rita Hayworth si trovò aggrappata ad una bottiglia dopo cinque mariti. Nell'ultima parte della sua vita il bere e l'alzheimer la ridussero a poco più di una barbona. Proprio lei, per la quale metà dell'umanità avrebbe fatto pazzie. Ma è anche vero che tanti hanno iniziato a bere ben da giovani. E a venticinque anni è difficile immaginare che si possa avere l'orrore della vecchiaia. Se si è sani di mente. Uno dei bevitori più folli e sfrenati di Hollywood fu Spencer Tra

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